«C’etait Sarkozy. Histoire d’une ambition», è il titolo del numero speciale di Libération appena uscito e dedicato al presidente della Repubblica francese che alle prossime elezioni potrebbe non essere confermato. Lo si dà già per finito, una parentesi effimera e insieme un gigantesco malinteso. Più che un’analisi politica, quel titolo rivela un’indole scaramantica, esprime una speranza e un desiderio e, sotto traccia, una convinzione: il peggior avversario di Sarkozy è Sarkozy stesso.
A 40 giorni, più o meno, dal primo turno (il secondo sarà il sei maggio), stando ai sondaggi dell’Ipsos, il voto in Francia vede François Hollande, lo sfidante socialista, accreditato di un 30% di consensi, il presidente uscente al 28%, la leader del Front National al 15% (sempre che ottenga le firme necessarie per partecipare alla corsa elettorale), il centrista François Bayrou al 13, la verde Eva Joly al 2%. Se questa proiezione si manterrà inalterata, Hollande e Sarkozy dovranno pescare i voti necessari in un bacino che oscilla sostanzialmente fra il centro, la destra e l'estrema destra.
L’ultima uscita di Hollande su una patrimoniale contro i ricchi lo radicalizza a sinistra, ma, a ben guardare, non gli aliena più di tanto l’elettorato di quella Francia «profonda», impaurita dalla crisi e minacciata dalla recessione, che quei «ricchi» per nulla frequenta e poco ama. L’ultima uscita di Sarkozy, relativa all’etichettatura della carne halal e casher, lo radicalizza a destra, ma non occorre una laurea alla Sorbona per capire che il problema principale dei francesi, per quanto dediti alla choucrute, non sia quello di mangiare per sbaglio e/o senza saperlo carne macellata secondo la tradizione musulmana e ebraica.
Di Hollande si conoscono i limiti: non buca lo schermo, è un uomo di apparato, fatica a prendere decisioni, è legato a una certa idea di sinistra che è insieme scollata dalla realtà sociale e privilegiata nel proprio privato, la cosiddetta gauche-caviar che gli operai li conosce soltanto quando va nelle fabbriche in campagna elettorale... E tuttavia quei limiti sono stati trasformati da Sarkozy in pregi, perché nel suo primo mandato i francesi hanno conosciuto un leader ipercinetico, contrario a ogni gioco di squadra, affascinato dalla ricchezza e dalle frequentazioni che essa permette, liberista senza per questo essere liberale, suscettibile alle critiche, vendicativo. Così, ancora una volta, si torna al punto di partenza: non è Hollande il candidato che può far perdere Sarkozy, ma è Sarkozy stesso.
Eletto nel 2007 con grande consenso, nel nome della giovinezza, del dinamismo, della forza di volontà, simbolo di un cambiamento, dopo la staticità di Jaques Chirac, di cui il Paese avvertiva il bisogno, appena un anno dopo i sondaggi lo davano in caduta quanto a popolarità e da allora non si sono più fermati. La crisi economica ha fatto il resto, la crisi dell’Europa ha ulteriormente complicato il quadro, l’avventura bellica in Libia ha finito per ricordare quell’assolutismo monarchico Ancien Régime che cercava militarmente all’estero il consenso mancante in patria.
Di tutto questo Sarkozy è probabilmente consapevole, ed essendo un lottatore, uno che le campagne elettorali le ha nel sangue, cercherà a tutti i costi di uscire dall’angolo dove aveva finito, sua sponte, per cacciarsi. Al di là della polemica pretestuosa sulla «macellazione rituale», e di quella meno pretestuosa, ma reale, sull’immigrazione, il suo riposizionarsi a destra, estrema o meno ha poca importanza, è anche un modo per riallacciarsi a un passato, quello di ministro dell’Interno, che fu poi alla base della successiva e trionfale avventura presidenziale. Solo che l’eventuale bacino di voti lepenista, oltre a non essere facile da prosciugare, non è sufficiente e resta pieno di incognite.
Il problema di Sarkozy resta oggi la sua credibilità di leader.
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