nostro inviato a Bruxelles
Mancano pochi minuti alle tre e mezzo del mattino quando Giorgia Meloni si presenta alla Lanterna di Palazzo Europa per fare il punto su quello che è senza dubbio il Consiglio europeo più lungo e complesso della legislatura. D’altra parte, la discussione sugli strumenti finanziari di sostegno all’Ucraina – certamente il dossier più delicato del summit di Bruxelles – è andata avanti fino alle tre del mattino, con una soluzione che negli ultimi giorni – ma anche giovedì scorso, quando si è aperto l’ultimo Consiglio Ue del 2025 – sembrava impraticabile: mettere da parte l’utilizzo degli asset russi congelati (strada caldeggiata dalla stessa Commissione, oltre che dall’asse Germania-Polonia e da Nordici e Frugali) e procedere con un prestito dell’Ue con bond raccolti sui mercati e garantito dal margine di manovra del bilancio Ue, prestito che permetta di fornire a Kiev 90 miliardi di euro per il biennio 2026-2027.
Per Meloni è un doppio successo, a cui si aggiunge il rinvio di un mese della firma dell’accordo Ue-Mercosur arrivato sempre giovedì dopo una lunga telefonata tra la premier e il presidente brasiliano Inacio Lula da Silva, convinto a rinviare la firma dell’accordo a gennaio, così da utilizzare le prossime settimane per rafforzare le salvaguardie previste per i nostri agricoltori (presenti in forza a Bruxelles durante le proteste che hanno paralizzato per tutta la giornata le strade adiacenti a Parlamento e Commissione Ue).
Doppio perché Meloni vince la sua partita in Europa, ma ottiene un ricasco interno che non è niente affatto un dettaglio, visto che smina quello che sarebbe stato un delicatissimo passaggio parlamentare. Sull’uso dei beni russi immobilizzati, infatti, il via libera della Lega di Matteo Salvini in Parlamento – passaggio obbligato per tutti gli Stati coinvolti – non sarebbe stato affatto scontato. Scenari italiani a parte, però, è del tutto evidente che il successo che conta è quello ottenuto nella lunga ed estenuante trattativa a Bruxelles. D’altra parte, il governo italiano aveva criticato fin da subito la soluzione degli asset, su cui inevitabilmente si era messo di traverso sin da subito il Belgio (che detiene 185 dei 210 miliardi di beni di Mosca congelati). Meloni e la diplomazia italiana, infatti, non hanno mai fatto mistero di nutrire dubbi sugli eventuali rischi legali e sui possibili ricaschi sulla stabilità finanziaria dei singoli Paesi, oltre ai timori di ritorsioni del Cremlino sulle aziende europee che ancora operano in territorio russo.
La premier si muove con cautela per tutto il giorno e anche le notizie e gli off che filtrano dalla delegazione italiana sono di mantenimento, senza alcuna forzatura in una direzione o nell’altra. Il tutto mentre la Commissione sembra accelerare sugli asset, con il cancelliere tedesco Friedrich Merz che fa asse con il polacco Donald Tusk e va in pressing sul Belgio per chiudere la partita. D’altra parte, se cadesse il “no” del primo ministro belga Bart De Wever, difficilmente Meloni potrebbe rimanere schiacciata sulle posizioni dell’Ungheria di Viktor Orban e della Slovacchia di Roberto Fico. Con il passare delle ore, invece, durante la lunga maratona notturna di Bruxelles – si entra nel vivo della questione solo dopo la cena dei leader, quando sono ormai passate le 21 – prende corpo il “piano B”: sostenere finanziariamente l’Ucraina facendo debito europeo, esattamente l’unica strada che la Germania non avrebbe voluto intraprendere, fanno notare foni diplomatiche italiane ancora prima che la cena abbia inizio. Una mossa su cui converge ovviamente il Belgio e arriva l’inattesa sponda di Orban, che si è sempre dichiarato contrario al debito comune ma che comunque la trova una soluzione meno invasiva nei confronti dell’amico Vladimir Putin (oltre a sventare l’ipotesi che una decisione così delicata sia presa a maggioranza e non all’unanimità, scardinando di fatto quel diritto di veto che gli permette di condizionare l’Ue). A quel punto entrano in gioco anche le perplessità della Francia, oltre a quelle già manifestate formalmente da Bulgaria e Malta (determinanti insieme a quelle dell’Italia, spiega De Wever, per “iniziare a far cambiare la situazione”).
Insomma, per Meloni – anche grazie alla decisiva sponda prima del Belgio e in seconda battuta dell’Ungheria – una vittoria politica di peso. Anche nell’inevitabile braccio di ferro sotterraneo che si consuma dietro le quinte con Merz, non solo sul prestito all’Ucraina ma anche sul Mercosur. Alla fine il cancelliere definisce l’intesa “un successo”, una soluzione “pragmatica e valida”. Ma è evidentemente lui uno dei grandi sconfitti di questa partita.
“Sono contenta che abbia prevalso il buon senso e che si sia riusciti a garantire risorse che sono necessarie con una soluzione che ha una base solida sul piano giuridico e finanziario”, dice la premier nella notte prima di lasciare Bruxelles. “Il tema degli asset – aggiunge – rimane nelle conclusioni e ricordo che la decisione più importante sulla questione degli asset l’abbiamo già presa qualche giorno fa quando li abbiamo immobilizzati garantendo che non vengano restituiti.