Eva, la donna che ritrova migliaia di volti cancellati dalla pulizia etnica

Antropologa, polacca, candidata al Nobel per la pace, la Klonowski è l'unica donna incaricata di dare un'identità a chi l'ha persa nelle fosse comuni dell'ex Jugoslavia. Dice: «Le ossa non muoiono mai. Sopporto qualunque tipo di orrore ma non la disperazione delle famiglie»

«Ci sono momenti in cui penso che avrei dato il meglio di me come commessa di una profumeria...» Eva Klonowski ha un sorriso contagioso e il gusto della battuta non le manca mai. Capita quando spendi la tua vita a leggere cosa c'è scritto nelle ossa. Polacca, ma cittadina islandese, 62 anni, già candidata al premio Nobel per la pace, è il numero uno degli antropologhi legali, ma lei si definisce un becchino, incaricati dalla Commissione internazionale sui dispersi di dare un nome e una vita alle migliaia di vittime della guerra in Jugoslavia. Uno per uno. A costo di scavare fino al centro della terra. Unica donna e unica straniera del gruppo, con una sola missione: riesumare la pulizia etnica, restituire a un Paese intero la sua memoria. Un'operazione mai nemmeno tentata prima. Due terzi dei corpi ritrovati sono passati dalle sue mani, quasi diciassettemila vittime sepolte in trecento fosse comuni. «Le ossa rivelano non solo l'identità di qualcuno ma come è stato ucciso, torturato o sepolto. Le ossa non muoiono mai...». Ma a lei non basta determinare l'età, l'altezza, il nome. Pur di restituire ai parenti delle vittime di Srebrenica qualcosa su cui piangere ha lavorato anche gratis. Ti spiega: «Ricordo una mamma, frugava in una fossa, stava quasi sprofondando. Aveva riconosciuto il pattino di suo figlio: voleva morire lì». E aggiunge: «Posso sopportare di stare tutto in una tomba, posso anche sopportare il puzzo, ma la disperazione e il dolore delle famiglie è la parte peggiore del mio lavoro». Perchè Eva sa cosa vuol dire separarsi dai propri cari. Nel 1981 quando nella sua Polonia fu dichiarata la legge marziale lei per caso si trovava in Austria. Decise di non tornare più e chiedere asilo politico all'Islanda.

Il papà rimasto a Varsavia morì di crepacuore. Ritrovare gli affetti degli altri per Eva vuol dire ritrovare anche qualcosa di sé: «Nel nostro lavoro partiamo sempre per cercare un ago in un pagliaio. Ma se vogliamo possiamo fare l'ago più grande del pagliaio...»

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