Facce da galera Romanzi criminali in un’istantanea

Se non fosse per tre o quattro volti tumefatti e per un paio di occhi cecati, parrebbe una «foto-tessera gallery» di «signori nessuno» in mezzo ai quali sono finite alcune celebrità. Danno tutti l’impressione d’esser stati beccati la mattina appena svegli: ancora rincoglioniti dal sonno, i capelli in disordine e le occhiaie gonfie. Invece sono i Ritratti criminali raccolti da Raynal Pellicer, cineasta francese (Mondadori, pagg. 288, euro 29). Una di quelle facce peste appartiene infatti a Lee Harvey Oswald, l’assassino di John Fitzgerald Kennedy. E uno di quegli occhi per sempre spenti, spappolato da una scheggia di vetro durante una rapina, è di «Blanche» Barrow, moglie di «Buck», il fratello di Clyde. Sì, proprio lui, quello della premiata ditta Bonnie&Clyde. C’è anche lui, e sembra un ragazzino del ginnasio.
Fuori dalla legge e dentro l’obbiettivo, nelle foto segnaletiche della polizia ogni catturato rivela il proprio carattere: c’è chi ha l’aria di voler prendere a cazzotti il mondo intero, come Jo Attia, alias «Jo le Moko» o «Jo il Pugile» (1916-1974) e chi, smorto, contrito, sembra l’impiegato della porta accanto, come l’ingegnere elettronico, e membro del partito comunista americano, Julius Rosenberg (1918-1953); chi sorride con fare strafottente, come il geniale truffatore Charles Ponzi (1882-1949), e chi fulmina l’osservatore con uno sguardo d’acciaio e le mascelle serrate, come John Dillinger (1903-1934). No, non è lui una delle celebrità cui accennavamo prima, per quanto si sia ritagliato, nell’Olimpo della malavita, un posto ben in vista e la sua breve, crudelissima vita abbia ispirato almeno tredici film.
Le star, più o meno «maledette», del cinema e della musica che possono appuntarsi al petto la medaglia di un’istantanea con sotto scritto idealmente «Wanted» non sono poche, in questa antologia corredata dai testi di Massimo Picozzi. Ecco il ventiduenne Frank Sinatra, nel ’38, con ciuffo acchiappafemmine: non «canta», anzi fa scena muta; ecco Janis Joplin a figura intera, nel ’69: arrestata per gli eccessi di un dopo-concerto, sembra un fantasma materializzatosi sotto la scritta «Police Dept. Tampa Fla.»; ecco Jim Morrison senza (nel ’63) e con (nel ’67) la famosa zazzera; e poi l’orgoglio nigger di Jimi Hendrix, l’altero ed enigmatico David Bowie e la bella (di profilo meno, forse anche per colpa della pettinatura) Jane Fonda. Pizzicata nel ’70 all’aeroporto di Cleveland per colpa di alcune pillole sospette poi rivelatesi semplici vitamine, aveva preso a calci uno sbirro, e non resistette alla tentazione, nell’attimo fatale, di alzare il pugnetto sinistro, sgranando gli occhioni. Il ruolo sexy-fantascientifico di Barbarella, impersonato soltanto due anni prima, le stava già stretto, così decise d calarsi nella parte della pasionaria. Del resto l’autopromozione è una pratica vecchia come il mondo, e si trova sempre qualcuno che non esita a volgere a proprio favore persino le macchie sulla fedina penale. Singolare è invece la trovata, in quello stesso anno, di Elvis Presley. Gli fanno visitare la sede dell’Fbi. Pare che il boss John Edgar Hoover si rifiuti di incontrarlo per via della «sua tenuta esuberante». E lui che cosa t’inventa? Si mette in posa, con occhialoni e chioma leonina, per una classica mugshot. Chissà le ovazioni dei fan piedipiatti.
Si chiama così, mugshot, la... foto ricordo lasciata negli uffici competenti da ogni criminale che si rispetti. Il termine è composto da mug, che nell’inglese popolare del XVIII significava «volto», e da shot, cioè «colpo», «sparo». Alcuni personaggi li conosciamo bene: le primedonne della delinquenza del calibro di Al Capone, «Lucky» Luciano, Frank Costello sono ormai state cooptate nell’aura del mito criminale. Altri, come i membri della «Carlingue», cioè la Gestapo francese, o dei clan marsigliesi, potrebbero essere chiunque. Poi, ovviamente, c’è la variabile tempo a modellare i tratti somatici di brutti ceffi e pericolose maliarde, assassini incalliti e ladri professionisti. Unita al gioco delle somiglianze. Landru è un Céline con barba, Emma Goldman una Ada Negri in sovrappeso, Lenin un Dostoevskij pelato, Stalin un Giovanni Pascoli in bello. Fa impressione la timorosa compostezza di Mussolini, espulso in quanto «anarchico» dalla Svizzera, o l’inquietante asimmetria del volto di Richard Hickock, una delle due belve che, nel Texas del ’59, massacrarono una famiglia di agricoltori per poi diventare demoni letterari nel romanzo A sangue freddo di Truman Capote. Nella rete, insieme a Martin Luther King e Rosa Parks, colpevoli di non accettare la segregazione razziale, finisce persino un futuro giudice della Corte d’Appello di New York, George Bundy Smith, segno che la giustizia non è sempre dalla parte giusta.


Infine, una confessione, Fuga da Alcatraz e L’uomo di Alcatraz li abbiamo visti troppe volte per non fare il tifo per i veri protagonisti di quelle storie. Che non somigliano per nulla a Clint Eastwood e a Burt Lancaster.

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