Un'ex collega mi fa sapere che per battere la depressione comprerà uno smalto vistoso, gli amici tifosi giubilano per l'Inter. Una conoscente notifica urbi et orbi il suo mal di schiena. Ma c'è anche unamica portoghese che segnala una video intervista a Ian McEwan e un'altra che consiglia l'ultimo film di Ferzan Ozpetek. Ma le chiacchiere su Facebook, passatempo tendenzialmente inutile (ma non lo sono tutti i veri passatempo?), da oggi le guardo con occhi diversi. Perché secondo la società di ricerca Hitwise, il grande libro on line delle facce non è più solo un fenomeno, ma il fenomeno numero uno. La scorsa settimana, dicono i dati, ha avuto più clic di re Google: il 7,07 di chi ha navigato su Internet ha visitato Facebook, contro il 7,03 del motore di ricerca. I dati sono relativi ai soli Stati Uniti e il sorpasso è a malapena un'incollatura. Ma nessuno lavrebbe mai immaginato anche solo sei mesi fa, quando c'era ancora chi giurava sul fatto che si trattasse di un'altra meteora della Rete.
Chi si ricorda ancora di Second Life? Ma Facebook è diverso. Innanzitutto perché uno è esperienza individuale, l'altro unavvolgente ragnatela collettiva. Man mano che conquista amici vicini e lontani ti spinge a farne parte per non restare tagliato fuori. Si organizza una serata al cinema attraverso Facebook e tu sei l'unico a cui bisogna inviare una mail o, sommo orrore, roba da paleozoico, telefonare. Su Facebook si rilanciano e commentano i fatti del giorno, si fa propaganda elettorale, si annunciano perfino lutti e nascite. È il paradosso ultimo della Rete: se non vuoi restare isolato, rinchiuso nel tuo guscio, devi rinchiuderti in casa a consultare il web.
Il sorpasso su Google non è momentaneo, perché corrisponde a una vera e propria mutazione genetica di internet che, come dicono i tecnomani, ora è meno «search» e più «social», le informazioni corrono in una sorta di passaparola digitale che tiene tutti in perenne contatto (anche chi si vorrebbe cordialmente perdere di vista). Si potrebbe anche dire che è una rivincita delle relazioni umane, per quanto virtuali, sull'impersonalità dell'algoritmo di Google. È una tendenza definitiva? In realtà, a ben guardare, proprio all'apice del suo trionfo da Facebook qualche scricchiolio arriva. Il meccanismo della ragnatela coinvolge sempre più persone ma avere un profilo non significa consultarlo in modo regolare né partecipare attivamente con i propri «post».
La prima pagina di Google è essenziale ed è rimasta più o meno sempre uguale a se stessa. Parecchi utenti di Facebook si lamentano invece dei continui cambiamenti, probabilmente legati alla necessità di far fruttare economicamente la geniale invenzione dell'ex studentello Mark Zuckerberg. E poi c'è l'incognita del vuoto: siamo sicuri che abbiamo così tanto da dirci, caro il mio ex compagno di classe? Gli utenti aumentano ma, passato l'entusiasmo iniziale, la sensazione è che ciascuno aggiorni la propria pagina sempre più di rado. Una lamentela inizia a rincorrere tra i naviganti: «Ma come, non hai visto il mio messaggio su Facebook?». No, mi spiace, ma ieri non ho avuto proprio tempo di controllare come stava la schiena di quella conoscente.
Intanto all'orizzonte si profilano nuovi concorrenti: i social network tematici. Come aNobii, per soli amanti dei libri. Ti iscrivi, componi lo scaffale dei tuoi preferiti e se vuoi scrivi recensioni che chiunque potrà leggere. Il sistema segnala se i gusti del recensore sono affini ai tuoi (in base ai titoli delle rispettive librerie ideali). Ed è boom, tanto che quel furbone di Luca Sofri ha già raccolto le recensioni e le ha trasformate nel classico instant book figlio della Rete. Pescando un po' a caso, forse, tanto da annotare anche giudizi non esattamente imperdibili: «Su questo libro è stato già detto tutto».
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