L’ufficio «documenti falsi» è una stanza vuota. Un telefono e un computer. Nient’altro. È una società che esiste solo sulla carta, ma con schiere di dipendenti. Extracomunitari. Messi in regola sulla base di contratti fittizi. Così cresce un’enclave a Milano. Migliaia di clandestini. Eppure, col permesso di soggiorno. Un documento rilasciato dalla Questura, dietro presentazione di una busta paga. Fasulla. Un business enorme, in piedi da anni, e che vale milioni. Basta pagare, tra i mille e i 2mila euro. Come quella, esistono decine di società «fantasma». Una struttura in grado di intercettare gli irregolari che arrivano in città, ma anche di contattarli direttamente nei Paesi d’origine. Scatole cinesi che portano allo studio - in pieno centro di Milano, a poche centinaia di metri dal tribunale - di un noto commercialista milanese, cognato del banchiere Michele Sindona, e terminale finanziario - secondo un’indagine dell’antimafia - degli interessi della ’ndrangheta in Lombardia, Svizzera e Lussemburgo. Un sistema che è stato oggetto di un’inchiesta della Procura.
L’indagine
Ipotesi di reato, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. L’indagine, coordinata dal pm Elisa Moretti, è stata condotta dalla I sezione del Nucleo investigativo dei carabinieri, con la collaborazione degli uffici immigrazione della Questura e dell’ispettorato del lavoro. Per mesi, gli inquirenti hanno lavorato per ricostruire il mercato dei documenti falsi. Arrivando alla fine al nome di E.C., 78 anni, di origine siciliana, noto professionista della piazza milanese. Il suo studio è un luogo molto frequentato da stranieri. Un continuo viavai di extracomunitari che chiedono e ottengono i certificati con cui presentare domanda per il permesso di soggiorno. Contratti, buste paga, lettere di assunzione. Falsi. Oltre cinquemila pratiche sono state sequestrate dai carabinieri negli uffici del commercialista, controllate e incrociate con i dati di polizia e Camera di commercio. Più di mille e 600 i casi di contraffazione contestati, ma secondo gli inquirenti sarebbero almeno il triplo (dunque 4-5mila) i clandestini che nel corso degli ultimi anni sarebbero stati regolarizzati attraverso questo canale.
Il business
Mille euro per una busta paga, 2mila se la documentazione richiesta è più complessa. Stimano gli investigatori che il business abbia portato nelle tasche della società una cifra compresa tra i 5 e i 10 milioni di euro. Un giro d’affari enorme, alimentato dal passaparola. Il clandestino che arrivava a Milano era indirizzato nello studio di E.C. Lì, dietro pagamento, veniva aperta una pratica che avrebbe permesso all’extracomunitario di mettersi in regola. Almeno formalmente. Ma il passaparola non spiega tutto. Sembra, infatti, che il commercialista fosse in grado di procacciarsi i «clienti» direttamente sull’altra sponda del Mediterraneo. Nei suoi elenchi, a comparire con più frequenza sono cittadini della Tunisia, dell’Egitto, del Marocco e dell’Algeria. Una volta a Milano, alimentavano il giro del lavoro nero o - nella peggiore delle ipotesi - della criminalità.
Le società
Decine le società fantasma che sarebbero riconducibili al commercialista. Poche, invece, quelle a lui direttamente intestate. La struttura utilizzava una serie di prestanome e teste di legno senza precedenti penali, così da non destare sospetti negli uffici immigrazione della Questura al momento del rilascio del permesso di soggiorno. Le aziende erano regolarmente registrate alla Camera di commercio, salvo esistere, nella maggior parte dei casi, solo sulla carta. Altre volte, invece, le «imprese» si limitavano ad avere un ufficio, un computer e una linea telefonica. Senza che ci fosse nessuno a rispondere.
La ’ndrangheta
E.C. non nasce dal nulla, così come questa non è stata la prima indagine a occuparsi di lui. Il suo nome, infatti, compare anche negli atti della Commissione parlamentare d’inchiesta (XIII legislatura) sulla mafia in Calabria.
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