Cultura e Spettacoli

«La Fanciulla del West»

New York, 10 dicembre 1910. Metropolitan Opera House: quarantasette chiamate alla ribalta salutano l’autore e gli interpreti dell’opera in tre atti La Fanciulla del West. Guida musicale è Arturo Toscanini. È già tutto detto. I ruoli principali furono sostenuti da un trio d’assi vocali insuperato nel tempo. Parliamo di Emmy Destinn (Minnie), Enrico Caruso (il bandito Johnson/Ramerrez) e del baritono Pasquale Amato (lo sceriffo Rance). Scusate se è poco. Il leggendario General Manager del Met, un ferrarese di ferro, Giulio Gatti-Casazza, offre a Giacomo Puccini, una ghirlanda d’argento fra il tripudio del pubblico. Quell’America che teneva in quarantena gli immigrati italiani e li inseriva nei gradini più bassi dell’istruzione e dei commerci, era ora ai piedi dell’Italia nella persona di Giacomo Puccini e di chi lo aveva assistito. È passato un secolo, due guerre mondiali. Ma anche oggi, dopo aver visto l’epopea del west traslocare dal palcoscenico d’opera al film, da Belasco (autore della pièce che ispirò Puccini) a John Ford, il fascino che emana l’America vista attraverso la musica di Puccini ci riporta per incanto all’immensa frontiera agitata dalla febbre dell’oro. Fra i teatri d’opera italiani il solo Massimo di Palermo ha ricordato con un nuovo allestimento la storica data della prima Fanciulla. Rendiamo merito al decano dei nostri direttori d’orchestra Bruno Bartoletti, cui rivolgiamo un plauso per aver condotto da par suo una partitura di gravoso impegno tecnico e fisico. Gliene siamo grati. Nella stessa serata, analoga operazione si è svolta al Metropolitan di New York. Lasciatecelo dire: una volta tanto Palermo e New York sono unite nel nome dell’arte unica di Puccini e non da esecrabile «connection». Per quelli che ancora oggi guardano Puccini con riserva (segnaliamo anche che sono sempre meno) o con atteggiamenti altezzosi, frutto di annosa terroristica disinformazione, ricordiamo che Fanciulla è stata un’opera amata da grandi musicisti. Prediletta non solo dai più alti direttori italiani, a partire da Victor De Sabata e Gino Marinuzzi, ma anche da un superbo interprete della Modernità, Dimitri Mitropoulos. Esemplare per splendore orchestrale la registrazione effettuata a metà degli scorsi anni Settanta - in imperante clima anti-pucciniano, per noi anche di comodo - da Zubin Mehta al Covent Garden di Londra, dove oggi opera un altro direttore che ama e, grazie a Dio, sa dirigere Puccini: Antonio Pappano. La critica corrente del suo tempo faticò molto a comprendere l’intelligenza con cui l’Autore si annetteva, rendendola propria, la lezione di alcuni dei maggiori colleghi: Debussy e Richard Strauss. Per decenni si rimasticò una folgorante battuta di Bruno Barilli. Il geniale scrittore (e critico) sosteneva che quando in Puccini la maestria tecnica era entrata dalla porta, l’ispirazione se l’era data a gambe dalla finestra. Valeva come battuta, ma era la conferma che per molti Fanciulla non arrivava come le sorelle più vicine al pubblico. Un po’ di vero c’è. Si tratta di un’opera a sé stante. Per la raffinatezza e l’alta qualità dello strumentale richiede una concertazione sempre attenta e meticolosa. Soprattutto il primo atto. La vita dei minatori è un susseguirsi di episodi (il gioco, l’arrivo della posta, il catechismo), tanto che era in uso tagliare l’episodio del minatore Sid scoperto a barare. Infine invece di impiccarlo come vorrebbero tutti, lo sceriffo Rance gli appunta in un magistrale recitativo tra l’ironico e l’autoritario il due di picche sul petto. Si mostra clemente, ma non scherza: se si togliesse la carta «scarlatta», il segno della sua infamia, «impiccatelo». Il confronto con la compattezza e la forza drammatica del secondo atto è impari. Dopo l’ardente incontro amoroso, la partita a poker, in cui la protagonista Minnie - indomita ragazza del campo - si gioca con lo sceriffo la propria virtù in cambio della vita del bandito di cui si è innamorata, è un superbo pezzo di teatro musicale. Lo stesso discorso vale per il terzo atto, che è una lunga caccia all’uomo, condotta dal rancoroso sceriffo. Una volta preso, il bandito Ramerrez sorprende tutti con l’unica vera romanza dell’opera, «Ch’ella mi creda», dove i pucciniani di lungo corso si riconoscono. Sopraggiunge a cavallo Minnie, annunciandosi da lontano e convince amorevolmente i minatori a liberare colui che in fondo gli ha rubato l’unico vero oro: lei. Qui Puccini da il meglio di sé con un finale di rara poesia.

Certo, Fanciulla del West non può aspirare al consenso unanime delle opere più popolari, ma contiene i valori del Puccini più elevato: un grande del teatro musicale del Novecento. E più passa il tempo tutti si dovrà ammettere che aveva ragione Lui.

L’allestimento del Teatro Massimo di Palermo sarà trasmesso a «Prima della Prima» oggi, alle 01.40, su Rai3.

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