Il fantasma dello Zen re di Palermo incoronato a New York

Il nuovo leader di Cosa Nostra aveva ottenuto l’appoggio delle famiglie d’America. Il primo atto al comando: si era raddoppiato lo stipendio a 40mila euro al mese

Il fantasma dello Zen re di Palermo incoronato a New York

«A lui gli hanno fatto la zampata tre volte. Loro entrano di qua, e lui esce di là. Se l’è fatta franca sempre così, proprio per miracolo». Un fantasma, Salvatore Lo Piccolo. Un acrobata dell’imprevisto, per dirla con l’ex capomafia di Torretta, Vincenzo Brusca, uno che a Totuccio è stato devoto nel garantirgli vitto e alloggio.
Di nascondigli, l’erede designato da Bernardo Provenzano, ne avrà cambiati a decine in un quarto di secolo. Perché a Salvatore e al primogenito Sandro - rintracciati a Cruillas e Carini - ultimamente non dava la caccia solo la polizia ma anche i sicari del triumvirato «corleonese» composto dai detenuti Nino Rotolo, Antonino Cinà e Francesco Bonura, imbestialiti per l’uccisione del boss amico Nicolò Ingarao, e contrarissimi al rientro in Sicilia degli Inzerillo, i «perdenti» della guerra di mafia degli anni Ottanta, esiliati oltreoceano e riabilitati dal nuovo corso dei Lo Piccolo.
E proprio dagli Stati Uniti, il superboss di San Lorenzo ha pianificato per tempo la sua ascesa interna ed internazionale: all’Fbi l’ha confermato pari pari il pentito Nino Giuffrè, il braccio destro e sinistro di Provenzano, che parlando a lungo dell’«uomo dell’America» e dei suoi traffici, ha messo a verbale: «Totuccio aveva, e ha, contatti diretti negli Usa attraverso la famiglia di Boccadifalco, già utilizzata da Provenzano. Lo Piccolo è oggi attivissimo nelle zone di New York e Chicago, è vicino ai Gambino, ma soprattutto si muove nei mandamenti di pertinenza del defunto boss Gaetano Badalamenti», l’ex Padrino di Cinisi, storica enclave impermeabile alla delazione, dove Lo Piccolo ingenuamente pensava di svernare e di non venir mai stanato grazie anche alle coperture del figlio di don Tano, Vito, uccel di bosco da dieci anni.
Delle tensioni interne sull’asse Palermo-New York, e delle intenzioni di Rotolo di togliersi dai piedi il concorrente con maldicenze e mascariate varie (è lui che mette in giro la voce che Lo Piccolo vuole ammazzare il Padrino) se ne fa spesso cenno nei «pizzini» rinvenuti sotto il materasso della stalla in Montagna dei Cavalli, ultimo covo di Provenzano. Rotolo, numero in codice «25», e Salvatore Lo Piccolo, riferimento «30», quali componenti del «Direttorio» di Cosa nostra, erano per forza di cose i colonnelli più gettonati dal Grande capo. Soprattutto a loro scriveva il Boss, per impartire ordini. Ad ognuno, singolarmente, dava consigli su come comportarsi rispetto alle scortesie dell’altro nella gestione degli appalti, delle estorsioni, del traffico di droga. Ma alla fine Lo Piccolo l’ha sempre avuta vinta, tanto che il killer ad personam prescelto da Rotolo, Giovanni Nicchi, si è visto costretto a recedere dall’incarico in extremis su ordine di Provenzano.
Non fidandosi troppo del trapanese Matteo Messina Denaro, e non potendo contare su Rotolo ormai dietro le sbarre, quando s’è trattato di abdicare e scegliere l’erede, Zu Binnu ha pensato a Salvatore, il consigliori prediletto, la primula dello Zen (il popolare quartiere di Palermo) e dell’area occidentale che si estende da Capaci all’Isola delle Femmine, da Carini a Villagrazia fino a Sferracavallo. Un erede al trono che come prima iniziativa anziché alla causa ha pensato a se stesso: s’è aumentato lo stipendio di capomafia da 20mila a 40mila euro mensili. Questa spiata, al pari di altre, arriva nelle scorse settimane da un ex sindacalista, il boss di Partanna Mondello, Francesco Franzese, factotum di don Salvatore arrestato quest’estate. Omonimo della diabolica gola profonda del clan italoamericano dei Colombo, Franzese è il giuda di Lo Piccolo dopo esserne stato l’ombra. Considerato un fedelissimo, al punto da assicurarsi l’incarico per l’eliminazione del killer voluto da Rotolo, quando ha capito che sarebbe morto di vecchiaia in un penitenziario di massima sicurezza, si è «venduto» il capo e ne ha aggiornato l’identikit. Franzese è solo l’ultimo di una lunga serie di traditori: dal cassiere Antonino Avitabile al suo autista, Isidoro Cracolici, in tanti hanno fatto terra bruciata a un boss che fino a qualche anno fa inseguiva il potere con la violenza, le belle donne col denaro. Un uomo che ha studiato sempre da leader, scimmiottando Provenzano per ingraziarselo e portarselo lentamente dalla sua.

Come «zio Binnu», a cui si rivolgeva firmandosi «tuo nipote», Lo Piccolo preferiva dirimere le controversie senza mattanze o lupare bianche, riunendo gli uomini d’onore intorno a una tavola imbandita alla Locanda di San Giorgio a Carini o al Vecchio Mulino, di Torretta. Come Provenzano, optava per una mafia di basso profilo anche nella richiesta democratica del pizzo: pagare poco, pagare tutti. Come Provenzano, dopo una lunga latitanza, è finito dentro. Per sempre.

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