da Milano
«Fermi, questa è una rapina». Due uomini hanno appena varcato la soglia del negozio. Uno è in semilibertà, l’altro è uscito dal carcere da pochi giorni. Le pistole puntate sui commessi, l’incasso del supermercato agguantato in fretta, la fuga, l’incontro con i carabinieri, la sparatoria, il sangue. Alle porte di Milano, ieri sera, c’era odore di Far West. Il finale è tragico. Il bandito è a terra, senza vita. Un altro è vivo, ma in fin di vita. Il carabiniere è ferito e una autoambulanza corre in ospedale. Cusano Milanino, sono le sette e mezza di sera. È qui che avviene la sparatoria. In una cittadina che ancora non si è addormentata, tra le auto che vanno avanti e indietro, e i passanti che tornano a casa. L’asfalto presto sarà macchiato da una manciata di bossoli e da pozzanghere di sangue.
I banditi sono due italiani. Uno di loro, quello ferito, non doveva essere lì. Si chiama Michele Trotta, risiede a Nova Milanese, a pochi chilometri da dove è avvenuto lo scontro, ed è un pluripregiudicato. È, doveva essere, in semilibertà. Forse qualcosa nella sua carriera penitenziaria non ha funzionato. Michele Trotta era ospite del carcere di Bergamo, detenuto per reati contro il patrimonio. Il regime di semilibertà gli consentiva anche di trascorrere a casa, come permessi-premio, i fine settimana: ogni giorno poteva uscire dal carcere bergamasco dalle 8.30 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 17.30 per lavorare. Il sabato e la domenica usufruiva invece di libertà. Questo sabato, evidentemente, Trotta aveva deciso di dedicarlo ad una rapina e gli investigatori cercheranno di stabilire se non avesse fatto la stessa cosa in altre occasioni.
L’altro bandito si chiamava Gino Amenta. Aveva 40 anni ed è morto. Si è giocato male la sua libertà. Era fuori dal carcere da pochi giorni. Il suo passato è una lunga carriera fuori dalla legge. Una carriera finita male.
Questa storia di morte comincia quando scende la sera. Due uomini entrano con il volto coperto in un piccolo supermercato di via Isonzo, nel pieno centro del paese. Sono armati, mostrano le pistole ai commessi e gli ordinano di svuotare le casse. L’azione è veloce. Escono coperti ancora dal passamontagna ed incrociano una pattuglia anti-rapina dei carabinieri. I militari capiscono che qualcosa non va. È una questione di attimi. I rapinatori fanno fuoco contro i militari. Fermano una Toyota «Yaris» con a bordo due ragazzi. Li costringono a scendere e prendono il loro posto al volante. Non fanno, però, molta strada: l’auto, dopo poche decine di metri, si schianta contro un palazzo. I banditi cercano la fuga, scappano a piedi, appena possono si voltano e sparano, sparano e corrono. I carabinieri rispondono. Sparano anche loro, per fermare i malviventi e per difendersi. Gli ultimi colpi sono fatali. Sul selciato restano un bandito, ucciso da una pallottola dei militari, un suo complice ferito e un carabiniere, colpito allo stomaco. Se la caverà.
I clienti che stavano comperando le ultime cose per la cena, proprio quando i due malviventi hanno fatto irruzione, raccontano: «Non so, ho sentito almeno otto spari poi tanta gente che urlava. Mi sono avvicinato e ho visto un carabiniere che correva e gridava di allontanarsi e di non affacciarsi alla finestra. Pochi attimi dopo una macchina si è schiantata contro il cancello di casa mia».
Salvatore Bellomo, sostituto procuratore di Monza, scuote la testa sconsolato.
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