Tra le farfalle italiane e l’oro ci sono le cinesi e la giuria

I sogni e i timori delle azzurre della ginnastica ritmica, seconde ad Atene 2004

Forcine, brillantini e glitter. Il successo è anche capriccioso e indulge sempre a qualche vezzo, ma la strada per Pechino è stata costellata soprattutto di pochi vizi, tante code di cavallo arrangiate di corsa alla meglio e infiniti sacrifici, per restare fra le migliori.
Le ragazze della Nazionale di ginnastica ritmica sono un prodigio di volontà montato su corpi eterei, volti angelici e bambini. A guardarle loro sì che sono veline, nel senso bidimensionale, etimologico, del termine. Ma la loro disciplina farebbe tremare i polsi anche al più perseverante degli asceti e la loro filosofia della scalata al successo passa per una lectio ben più difficilior di uno scaltro ancheggiare mediatico. Ti alzi, ti pesi, poi (forse) mangi e sicuramente ti alleni. Molto. Due volte al giorno. E prima di sera studi pure, perché d’accordo essere leggere, ma il cervello deve essere pieno per mantenere l’equilibrio, sia sospese in aria, sia calate nella vita comune. Questa è la giornata tipo delle farfalle nazionali quando sono al centro federale di Desio, il castello dove hanno scelto di ambientare la loro fiaba.
Ora però, per l’ultimo collegiale prima del volo per la Cina, la nazionale è in ritiro a Follonica in Toscana, vista mare. Solo vista. Perché la medaglia d’oro a Pechino è l’obiettivo che le ragazze hanno cominciato ad accarezzare il giorno dopo aver vinto l’argento ai Giochi di Atene, quattro anni fa. Fin d’allora molte scelsero di continuare anche se oggi hanno superato i vent’anni. Ora c’è Pechino. Poi ci sarà tempo per il resto, per amare, per diventare grandi, «chissà magari anche per ingrassare», ironizzano sempre. A Follonica settimana scorsa le ragazze, allenate da Emanuela Maccarani, hanno superato l’ultimo esame, un triangolare in cui hanno battuto Ucraina e Brasile. Venerdì prossimo c’è l’aereo per Pechino e nel bagaglio fra costumi, attrezzi e scaramanzia, ci sarà anche il peso di quelle 39 medaglie conquistate in cinque anni. Però c’è un però che oscura anche il sorriso della tenace allenatrice: «Le avversarie? Temo la Cina e la giuria».
Il problema delle giurie nelle ginnastica non è nuovo, ma il ricordo di quanto accaduto a Torino, agli Europei di giugno, toglie un po’ il sonno: le azzurre erano finite terze dietro a Russia e Bielorussia. Quel giorno una clavetta indisciplinata è sfuggita dalle mani di un’azzurra. L’incantesimo di meccanica e perfezione si è rotto e la giuria non ha perdonato. O, meglio, non lo ha fatto con la stessa indulgenza con cui ha invece graziato le colleghe russe cui una fune ribelle, per ben due volte, ha smarrito la via del ritorno.

«Ma noi contiamo su una grande professionalità, acquisita giorno per giorno, limando ogni dettaglio negli esercizi», ripete come un mantra la Maccarani. Più forti dei complotti, più belle delle farfalle, le italiane sono pronte. Forcine, brillantini e glitter, anche il vezzo ha una sua scienza.

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