In una recente intervista televisiva Guccini raccontava fra il serio e il compiaciuto di una discussione con la giovane figlia che, alle prese con una tesi universitaria sulla canzone dautore italiana, gli chiede: «Senti babbo, ma è meglio dire: Francesco Guccini dice, o mio padre dice?». Dilemmi di chi si ritrova figlia di cotanto padre. Domani al Palalottomatica (ore 21) Guccini si esibirà utilizzando tutti i suoi strumenti: vocazione poetica e carisma su tutti. Guccini infatti è uno di quei «rivoluzionari» che con la parola è riuscito a toccare il cuore e la testa di tanti. La sua ironia sorniona e la sua voce sono la sua cifra, punto fermo della musica (e della cultura) italiane.
Nessuno meglio di Guccini riunisce in una sola persona tutti i pregi e i difetti della figura del cantastorie. Nato a Modena, «più o meno per sbaglio» - come dice lui - il 14 giugno 1940, a causa della guerra trascorre linfanzia e parte delladolescenza a Pàvana, il paese dei nonni paterni, sullAppennino pistoiese, raccontato nel suo primo romanzo Croniche epafàniche (Feltrinelli). Fa per due anni il cronista per la Gazzetta di Modena e insegna per ventanni presso ununiversità americana con sede a Bologna. Poi, quasi per caso, comincia a scrivere canzoni, inizialmente destinate ad altri. Nascono così Auschwitz e Bang bang per lEquipe 84, Dio è morto e Noi non ci saremo per i Nomadi, Storia damore e Incubo n.4 per Caterina Caselli. Quando nel 67 esce il suo primo disco Folk beat n.1 Guccini non immaginava di certo che sarebbe stato linizio di una carriera luminosa e lunga. Ha alle spalle la realizzazione di 21 album, lartista modenese, e può contare, in Italia, su un seguito consolidato in trentanni di attività. Per assistere a un suo concerto accorrono a migliaia. E si tratta di uno spettacolo dove non esiste alcun effetto scenico, dove il cantante sta, durante tutta la durata del concerto, seduto su uno sgabello.
Il fascino discreto di un cantastorie dal passato illustre
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