La fatica di essere famiglia

Qualcuno dirà che Nicola De Martino, il padre separato che l’altra sera ha tentato di incendiarsi al Tg2, è un pazzo. Ma che grave errore, dire così. Un uomo che perde la testa perché per tredici anni non ha potuto vedere suo figlio non è un pazzo: è la persona più normale di questo mondo. Chi dice che quell’uomo è un pazzo sbaglia anche perché liquida con una battuta un dramma che ormai riguarda milioni di persone. Anche se per noi addetti ai lavori «non fa notizia», la separazione dei genitori dai figli è una tragedia ben più pericolosa, per l’equilibrio della società, di tanti altri fattori che pure occupano ogni giorno le prime pagine dei giornali: dalla politica all’economia. Credete che stiamo esagerando? Vi bastino un paio di dati: in Italia, negli ultimi dieci anni, si sono uccisi cento papà disperati perché non potevano vivere con i propri figli; e in tutta Europa, solo nell’ultimo anno, per lo stesso motivo sono stati in duemila a togliersi la vita. Quanti si sono uccisi perché invece del centrodestra ha vinto il centrosinistra, o viceversa?
Sempre per chi pensi che stiamo esagerando: lo psicanalista Claudio Risé, intervistato da Nino Materi a pagina 16, riferisce che negli Stati Uniti, dopo l’11 settembre, la maggior parte delle persone interpellate in un sondaggio disse che il principale problema americano non era il terrorismo, bensì quello dei padri che non potevano crescere i propri figli. Ma certo, proprio questo han detto: il distacco da chi abbiamo generato è una piaga ben più devastante di Al Qaida.
La questione, credo, è nota a tutti. Quando una coppia si separa, nel novanta per cento dei casi i figli vengono affidati alla madre. È anche giusto che sia così. I bambini, specie se piccoli, hanno bisogno soprattutto della mamma. Ma è innegabile che quanto da anni Risé va denunciando sia vero, verissimo: ormai siamo andati ben oltre alla preferenza per la madre, siamo arrivati all’eliminazione della figura paterna. Perché - ad esempio - il padre non può avere alcuna voce in capitolo quando si tratta di decidere se tenere un figlio o abortire? Chi ha deciso che in questi casi il padre non può mettere il becco ha creduto di privilegiare la donna: di fatto, l’ha lasciata tragicamente sola. Ha deciso per legge che i genitori non sono due. Ha messo il padre in fuorigioco e ha lasciato sola la madre.
Ma poi: se è vero che un bambino non può fare a meno della mamma, siamo sicuri che possa fare a meno del papà? Certamente la cultura di oggi sostiene questo: che i figli possono nascere anche in provetta con due papà oppure due mamme. Ma la realtà ci dice una cosa diversa: ci dice che i figli hanno bisogno di quello che - guarda caso - la natura ha stabilito, e cioè di un padre e di una madre. La vicenda di Nicola De Martino ha messo in primo piano le sofferenze dei padri che vivono lontani dai figli; ma ci sono anche le sofferenze dei figli che crescono senza un padre. Nei giorni scorsi un bambino con i genitori separati si è gettato dalla finestra. È chiaro che non tutti i figli, così come non tutti i genitori, arrivano a quel punto: ma la sofferenza c’è.
Conosciamo l’obiezione: ci sono situazioni in cui il divorzio è inevitabile. Certo. Ma qui non si tratta di accusare chi non ha potuto tenere insieme una famiglia. Si tratta di riflettere su quanto questa problematica sia stata banalizzata da una società che ha cercato di lavarsi la coscienza facendo finta che rompere una famiglia sia tutto sommato un gesto indolore. Quante illusioni sull’efficacia di un’assistenza psicologica. Quante ipocrisie nel far passare il concetto che in fondo è importante che mamma e papà restino amici. Quanta subdola faciloneria in certe fiction sulle famiglie allargate, dove tra il pupo e il nuovo fidanzato di mamma ci si vuole tanto bene. La realtà è purtroppo più drammatica, come sanno tanti genitori che certamente non arriveranno mai a minacciare di darsi fuoco, ma che dentro hanno un dolore che nessun assistente sociale dell’Asl riuscirà mai a rimuovere.
Come evitare questo dolore, il dolore di De Martino e di tanti papà, il dolore di tante mamme e di tanti figli? Chissà, siamo tutti così fragili. Però fa riflettere una cosa che abbiamo appena sentito da un avvocato civilista. Il quale ha detto questo: i divorzi sono aumentati perché oggi alla prima difficoltà - anche banale - ci si lascia, non siamo più capaci di far fatica per nulla.

Ma per chi vale la pena di far fatica se non per i nostri figli? Non si tratta di giudicare male chi non ce la fa. Ma di capire che se c’è in giro tanta sofferenza forse vuol dire che la famiglia non è poi quell’antiquata convenzione sociale che si vuol far credere. E che romperla non è come bere un bicchier d’acqua.

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