di Giovanna Lantini
Prima le banche e poi i fornitori. Si usa così in casa Marcegaglia, dove per ora non si tagliano i dipendenti e dove la riottosa Fiom è considerata un interlocutore qualificato. Ma andiamo con ordine. Al 31 dicembre 2009 i debiti con i fornitori del gruppo siderurgico della famiglia del presidente di Confindustria rappresentavano il 35 per cento dei 2,14 miliardi di euro fatturati lo scorso anno. Una percentuale consistente, soprattutto se messa a confronto con il 2008, quando la somma ammontava al 18 per cento circa di un fat- turato di 3,76 miliardi. Nel dettaglio, a fine 2009 la Marcegaglia Spa aveva in totale debiti con i fornitori per 762,889 milioni, dei quali 497,9 contratti in Italia, 108,9 in Ue, 100,83 nei Paesi extra europei e il resto sparso tra America, Africa-Medio Oriente e Asia. Certo, siamo sempre in tempo di crisi ed è frequente che le aziende paghino le imprese fornitrici in tempi biblici che vanno oltre gli ormai canonici 90 giorni. Cosa che invece, anche solo per una questione di interessi, non è raccomandabile con le banche, che il debito lo fanno pagare salato. Così il passivo totale del gruppo di Emma Marcegaglia scende, anche se aumenta il monte delle fatture non pagate all’indotto – nonostante le ripetute rampogne fatte col cappello di numero uno degli industriali nei confronti dei pagamenti in ritardo della Pubblica amministrazione. Si legge nel bilancio 2009 della Marcegaglia Spa: «La diminuzione dei debiti è il risultato della somma algebrica di due movimenti di segno opposto. Da un lato la notevole diminuzione dei debiti verso banche (di circa 186 milioni di euro), dall’altro il sensibile aumento dei debiti verso fornitori (circa 83 milioni di euro)». Come a dire, appunto, prima le banche, verso le quali il gruppo è esposto per 672,881 milioni (859 milioni nel 2008), e poi le imprese. In Italia, del resto, si sa che funziona in questo modo. E per una precisa ragione: ai fornitori non si pagano interessi, alle banche sì. Infatti, grazie alla diminuzione dell’indebitamento bancario, gli oneri finanziari del gruppo sono scesi di 28 milioni di euro. E così la società di cui il presidente di Confindustria è socia e amministratrice accanto al padre Steno e al fratello Antonio, è riuscita a chiudere il 2009 proprio con un utile di 28,5 milioni nonostante il crollo del fatturato, travolto dalla crisi generalizzata del settore. E per di più senza pesanti tagli a livello occupazionale.
La pace con la Fiom
Certo, un po’ di maretta è in arrivo alla controllata Bvb di Pesaro (circa 80 addetti) che potrebbe vedersi preferire la Polonia. Ma la struttura nel complesso tiene e, nonostante le ambizioni esterofile dei Marcegaglia, per il momento, le relazioni del gruppo con i sindacati sembrano buone. Anche con quella Fiom che il presidente di Confindustria, in relazione al caso Fiat ha definito «il problema». E che nel gruppo dei Marcegaglia può contare sul 70 per cento dei lavoratori iscritti. Una cosa, insomma, è il pubblico sostegno alla linea dura della Fiat che vuole più flessibilità sul lavoro in Italia e usa toni duri con i sindacati, un’altra sono invece gli affari di famiglia dove la regola sono le relazioni amichevoli. Anche se l’apripista Fiat sul lungo termine potrebbe risultare utile anche a Mantova.
Il colosso siderurgico (cui fa capo anche la Mita Resort, titolare delle concessioni turistiche della Maddalena) è infatti una realtà imprenditoriale che sul tema delle relazioni industriali e del potenziamento delle attività all’esterosi muove coi piedi di piombo e coi guanti di velluto. Tuttavia le ambizioni extra-Italia sono decisamente importanti e non senza conseguenze sulle decisioni circa la destinazione degli investimenti per il rafforzamento degli stabilimenti produttivi e delle risorse umane. «In una logica di crescita a lungo termine, anche nel 2009 il sottogruppo Marcegaglia – si legge nel documento – ha continuato a prestare grande attenzione alle proprie risorse umane e alle relazioni industriali, evitando ridimensionamenti strutturali ». Tuttavia Steno, Emma e Antonio vogliono crescere e dopo il raddoppio in Brasile e i nuovi stabilimenti in Cina, Russia e Polonia, «è precisa ambizione del sottogruppo Marcegaglia di arrivare entro il 2012 a una produzione negli stabilimenti esteri non inferiore al 20% di quella totale».
Ma queste cose costano. Naturale, quindi, che gli investimenti esteri del gruppo stiano «subendo una forte accelerazione rispetto al passato ». In particolare per il 2009-2012 sono stati decisi investimenti extra-Italia per complessivi 410 milioni. Che verosimilmente includeranno le risorse umane.
(18 settembre 2010)
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