il Fatto Quotidiano - Quanti guai per l'azienda di Emma la zarina

di Vittorio Malagutti

Questa volta non ci sono case a Montecarlo, cucine Scavolini e neppure, che si sappia, finan­ziarie off-shore parcheggiate al sole di qualche isoletta dei Caraibi. Per capire meglio la vicen­da esplosa ieri con le perquisizioni alla redazio­ne del Giornale conviene però tentare di rispon­dere a una domanda fondamentale. Per quale motivo Rinaldo Arpisella, da almeno quindici anni fidato consigliere e lobbista della famiglia Marcegaglia, ha interpretato come una minac­cia concreta le frasi pronunciate al telefono dal giornalista Nicola Porro? Perché proprio lui, l’esperto Arpisella, un professionista che gesti­sce l’immagine della presidente di Confindu­stria e i suoi rapporti con le istituzioni e con la stampa, si è sentito messo alle strette (addirittu­ra «prostrato» scrivono i magistrati) dalle paro­le del vicedirettore del Giornale ? Un primo indi­zio utile per abbozzare una risposta lo possia­mo rintracciare in un breve articolo pubblicato il 22 settembre scorso dal quotidiano della fami­glia Berlusconi. Titolo «Pressing in aula sul fra­tello del presidente di Confindustria». Nel testo si dava conto di un’udienza del processo per le tangenti Enipower in cui il pm Carlo Nocerino aveva interrogato un dirigente del gruppo Mar­cegaglia per capire chinell’azienda mantovana avesse saputo delle stecche pagate a un mana­ger dell’Eni. La maxi bustarella (oltre un milio­ne di euro) serviva ad aggiudicarsi un appalto di caldaie del valore di 127 milioni di euro.

PER QUESTA STORIA, che risale al 2003, An­tonio Marcegaglia ha patteggiato (nel 2004) una condanna a 11 mesi di reclusione e un risar­cimento di circa 6 milioni di euro. Ma dalle sue dichiarazioni rese ai pm è nato un filone d’inda­gine forse ancora più imbarazzante per la fami­glia mantovana che controlla uno dei più im­portanti gruppi siderurgici italiani. Sì, perché grazie alla collaborazione delle autorità di Ber­na la Procura di Milano ha ricostruito una rete di conti svizzeri alimentati per un decennio da fondi neri dei Marcegaglia. Un vero tesoretto, che secondo la ricostruzione dei magistrati sa­rebbe stato utilizzato dalla famiglia della presi­dente di Confindustria per una lunga serie di operazioni riservate. L’inchiesta l’anno scorso è approdata alla procura di Mantova per com­petenza territoriale. E anche l’Agenzia delle En­trate ha aperto un’indagine. Il capitolo non è ancora chiuso, quindi, anche se i Marcegaglia hanno più volte reagito alle in­discrezioni puntualizzando che si tratta di «epi­sodi già da tempo definiti». Certo l’interrogato­rio del 21 settembre, nei termini in cui il Giorna­le l’ha riportato nel suo articolo, potrebbe far pensare che in Procura a Milano non ritengano chiarita del tutto quella vicenda. Così come del resto è in pieno svolgimento anche un’altra in­chiesta penale che coinvolge Steno Marcega­glia, padre di Emma, questa volta a Grosseto. È una storiaccia di smaltimento illecito di rifiuti pericolosi che ruota attorno alla Agrideco, un’azienda maremmana.A febbraio l’operazio­ne, nome in codice Golden Rubbish ha portato in carcere una quindicina di persone. Ma in tut­to gli indagati sono 61 e tra questi anche il fonda­tore del gruppo Marcegaglia, perché secondo l’accusa anche uno dei suoi impianti, quello di Ravenna, avrebbe smaltito scorie di lavorazio­ne in modo illegale. Anche in questo caso il gruppo mantovano ha respinto tutte le accuse. Così come nei mesi scorsi sono sempre state respinte al mittente illazioni e voci sugli affari dei Marcegaglia alla Maddalena.

PROPRIO una società del gruppo mantova­no si è infatti aggiudicata la gestione del nuovo Arsenale, una delle strutture finita al centro del­lo scandalo di Bertolaso e compagni. Socio dei Marcegaglia in questa operazione è il manager­finanziere Massimo Caputi, uomo dal lungo curriculum e dalle mille relazioni nei Palazzi ro­mani. La famiglia della presidente di Confindu­stria non è stata mai coinvolta nelle indagini su questa specifica vicenda. Resta aperta però la questione probabilmente più imbarazzante.

Quella che riguarda l’immagine di Emma Mar­cegaglia tirata in ballo, lei o il suo gruppo, in inchieste penali da un capo all’altro della Peni­sola. Forse per questo alzando il telefono con Porro, perfino lo smaliziato Arpisella, si è senti­to minacciato. Peggio: prostrato.
(8 ottobre 2010) 

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