È giusto e sacrosanto che leditoria torni a misurarsi con quello che è stato, culturalmente, levento più importante del nuovo millennio, vale a dire il discorso tenuto da Benedetto XVI nel settembre scorso a Ratisbona, che tanta ira suscitò in alcuni ambienti islamici e che in alcuni ambienti cattolici fu bollato come uno «scivolone» diplomatico. Un documento molto interessante del ruolo di quel discorso ci viene offerto dal recentissimo volume Dio salvi la ragione (Cantagalli, pagg. 192, euro 17,50), che raccoglie, oltre al celebre discorso del Papa, contributi di autori deccezione: lebreo André Glucksmann, il palestinese Sari Nusseibeh, il tedesco e cristiano Robert Spaemann, lebreo non credente Joseph Weiler e il giovanissimo intellettuale musulmano, legiziano Wael Farouq.
Tutti gli autori dimostrano innanzitutto quanto sia salutare per chiunque, a qualunque credo o non credo appartenga, un paragone serio con le parole di Benedetto XVI. E mette voglia di risalire la corrente della storia, per rintracciare le cause di un conflitto artificiale, quello tra fede e ragione, che allorigine non esisteva, ma la cui nascita risale a ben prima del dogmatismo illuminista. La concezione di un Dio al di sopra della ragione (da cui leliminazione dellUno o dellaltra, a seconda dei casi storici) non è nata nellIslam, ma è propria di un mal inteso rapporto tra luomo e Dio. Un rapporto inteso in modo intellettualistico.
Il bisogno di verità, di bellezza, di giustizia che è in tutti noi, cerca incessantemente nel mondo qualcosa che gli corrisponda totalmente, una soddisfazione piena di sé. Questa è la verità, e secondo questa stessa strada Dio si è fatto conoscere agli uomini, affinché questi potessero amarlo. Ma Dio, che è la vita stessa, può condurre questa stessa ragione su strade inimmaginabili, obbliga lintelligenza a rinnovarsi, a non rimanere attaccata al proprio schema, affinché la mente possa conoscere cose un tempo inconoscibili. Questo può forse creare scandalo in chi si fermi al guscio vuoto della ragione.
Commenti
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.