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FERDINANDO CAMON

nostro inviato a Padova

«L’idea di scrivere il libro della stirpe ce l’avevo in testa da tanto. Il mio editore preferiva “razza”, ma io mi sono impuntato. Allora lui ha voluto aggiungere “mia”, perché “stirpe” da solo gli suonava freddo. Confesso che sono ossessionato dal pensiero della mia presenza nella vita dei miei genitori prima che nascessi e della mia permanenza in chi mi succederà, figli, nipoti».
Nella casa di Ferdinando Camon, un passato di bestseller (Un altare per la madre, Occidente), cinque anni presidente del Pen Club, due figli, uno sceneggiatore a Los Angeles, l’altro docente universitario a Bologna, tutte le pareti sono librerie. «La carta pesa», gli ha detto l’amministratore del palazzo e così, per non sovraccaricare i pavimenti, ha dovuto prendersi un altro mezzo appartamento nello stesso stabile, adibito a studio, dove trasferirne una parte. «Vede questi libri? Io ho un modo preciso di sottolineare. Linee orizzontali sotto le righe, linee verticali sul bordo pagina, linee ondulate, asterischi per espressioni che possono tornarmi utili quando mi metto a scrivere. Bene», continua Camon, «se vado in camera di mio figlio e apro un libro trovo le stesse linee, asterischi compresi. E mi dico: ma io non l’ho mica letto. Ecco, quando non ci sarò più, qualcun altro continuerà a leggere come leggo io».
Immortalità nella specie e della specie, modi di essere e di agire, persino una ciste che spunta dal nulla sul cuoio capelluto dei figli come già l’avevano il papà e il nonno, una semplicità e una fierezza contadine che si tramandano per generazioni senza che nessuno possa sceglierlo. Un destino che si chiama razza, radici, appartenenza: in La mia stirpe (Garzanti, pagine 160, euro 14,60) c'è tutto questo e molto altro. «È un libro controcorrente che non avrà successo», chiosa Camon. Certamente un tema controverso, per esempio per chi ha figli adottati, noto io.
La storia si apre con una telefonata domenicale che informa del padre colpito da ictus. Bisogna comprare una lavagna con l’alfabeto perché il papà possa continuare a esprimersi, indicandole una alla volta. E mentre è presso quel letto di ospedale, nella mente del figlio affiora la parabola del genitore, la guerra dei tedeschi, il lavoro della terra, il confronto tra generazioni: «Senti figlio mio, io lavoro sui campi dalla mattina alla sera, tu cosa fai?». «Scrivo», «E non ti vergogni?».
Dopo Un altare per la madre, Camon tratteggia un monumento per il padre, ma il tema è sempre lo stesso. Anche in La mia stirpe, in fondo, si ossequia la madre che, durante una memorabile gita a Venezia, Camon rivede nella nipotina, di tre generazioni successive. «Già il manoscritto di quel libro s’intitolava Immortalità, rivela, perché in quell’altare costruito dal padre lei smetteva di morire anche per i figli. «Il mio traduttore francese volle dedicarlo a Roland Barthes, appena morto. Un Paese islamico come la Turchia m’invitò a parlarne in università e in televisione. Uno scrittore americano ebreo mi raccontò che al funerale di suo padre non trovò di meglio che leggere due pagine di Memorial, come s’intitolava da loro. Voglio dire: nel cristianesimo c’è un respiro di umanità che vale per tutte le religioni. I rapporti del mondo cristiano con le altre culture sono sostanziali». Però in ospedale il compagno di stanza del papà è un paziente islamico che, appellandosi all’Associazione per i Diritti Umani riesce a far togliere dal muro il crocifisso appeso lì da decenni e che, una volta eliminato, lascia quell’ombra più bianca sulla parete, dove si punta lo sguardo rattristato. Non bastasse, l’islamico continua a sputare in aria. «Noi occidentali siamo tolleranti e tendiamo all’integrazione», riflette Camon. «I musulmani no. Tutti, non solo i fondamentalisti. Nell’islam vigono dogmi come la superiorità dell’uomo sulla donna, del fedele sull’infedele, dell’emirato sulla democrazia, incompatibili con qualsiasi Costituzione occidentale».
Scortato dal nonno e dal papà, Camon attraversa il Novecento, dalla Prima guerra mondiale al fascismo, dal dopoguerra contadino del Veneto all’attualità culturale. Le generazioni si rincorrono avanti e indietro sul filo della memoria. Come quando narra dei fascisti volontari a diciott’anni, uno dei quali «più tardi ha avuto il premio Nobel per la letteratura... Adesso, passato mezzo secolo, si dichiarano innocenti perché diciott’anni sono pochi per riconoscere il bene dal male. Ma le pallottole sparate dai diciottenni nelle fucilazioni andavano sempre a bersaglio». «Noi italiani», riprende Camon, «spesso sottovalutiamo Dario Fo, invece in Russia, in Svezia, è molto conosciuto. Quando vinse Montale ebbe un solo voto in meno. Ma quando lo intervistano sugli scrittori che furono fascisti, si difende male dicendo che doveva imboscarsi. Penso che se uno deve imboscarsi non indossa la divisa fascista, quella ti espone... Ciò detto, si può essere ottimi scrittori anche se di estrema destra, Cèline insegna».
Insieme al palesarsi della madre nella nipotina, l’altro centro di gravità del libro è l’incontro nella Cappella Sistina degli artisti convocati da Benedetto XVI nel 2009. Camon viene invitato a sorpresa e ci va assolvendo per il nonno e il padre ad un voto che avevano fatto in tempo di guerra. Così si presenta con le loro foto attaccate sotto la camicia. «Sì, in questo libro c’è un’accentuazione della mia appartenenza cristiana», acconsente Camon. «Mi sono stufato di sentire che non ci sono più valori, che attraversiamo un momento di vuoto. Non è così. In questi uomini, i nostri padri, sopravvivono valori fortissimi, eterni. Penso che la nostra civiltà sarebbe peggiore senza il Cristianesimo. Due anni fa rivelando lo scandalo dei preti pedofili, il New York Times iniziava l’articolo premettendo che la presenza della Chiesa cattolica è un bene per l’America».
Lì, nella Cappella Sistina, tra i duecentocinquanta invitati da ogni parte del mondo, scrittori, intellettuali, attori, compiaciuti per il fatto di trovarsi lì si alza il chiacchiericcio dell’attesa. E c’è chi si chiede se Ratzinger entrerà dalla porta di sinistra o di destra. Se lo chiede anche il regista italiano che sta girando un film su un Papa in crisi che va in analisi. Finalmente le luci si alzano e Benedetto XVI fa il suo ingresso di spalle all’illustre consesso. «Il regista del Papa in analisi è in imbarazzo», scrive Camon.

In Ecce Bombo Nanni Moretti raccontava di un gruppo di ragazzi che andavano su una collina a salutare l’alba, ma il sole sorgeva alle loro spalle. Un po’ come avviene per l’ingresso di Ratzinger. Significa che la grazia arriva da dove non ti aspetti e un po’ ti sorprende sempre? «È così».

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