Ferida e Valenti la colpa di essere divi fascisti

Da ragazzo avevo visto Osvaldo Valenti e Luisa Ferida quasi sempre coinvolti in sofferte vicende amorose sullo schermo. Nella realtà - come ha ricordato sul Giornale di domenica Maurizio Cabona - essi hanno poi pagato con la vita il fatto d’essere stati divi in epoca fascista. Della Ferida nemmeno oggi so dire se fosse brava o no: mi piaceva troppo per badare come recitava; di Valenti invece pensavo che fosse un bravo attore. Infatti rammento ancora il vile e tremendo Giannettaccio della Cena delle beffe di Blasetti (1941), che rubava la scena al grande Amedeo Nazzari. Come tutti i ragazzi fanatici di cinema, allora sognavo anch’io di incontrare i miei attori preferiti, un giorno o l’altro nella vita. Incontrai invece Valenti e la Ferida il giorno della loro morte. Avvenne in una piovosa mattina di inizio maggio 1945, a Milano, cimitero del Musocco. I cadaveri rinvenuti in periferia, nel corso della notte, erano stati ricomposti alla meglio e allineati in attesa di identificazione, compito che spettava a me, giovane ufficiale del controspionaggio alleato, alla ricerca di alcuni personaggi scomparsi. Anche quel giorno non avevo trovato niente di compatibile con le mie foto segnaletiche, tutte di maschi adulti.

Quando stavo per andarmene, mi accorsi però del corpo di una donna: braccia conserte a nascondere il seno nudo, un piede senza scarpa, finita sotto la gonna che, pietosamente abbassata, nascondeva lo sconcio. Accanto a lei, Luisa, c’era lui, Osvaldo, un occhio divelto dall’orbita e posato sulla fronte.

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