Roma Erano pronti a riprendere la lotta armata e a ricostruire il Partito comunista combattente. Avevano armi e progetti ambiziosi, tra cui un attentato alla Maddalena in vista del G8. Sono sei le persone arrestate dalla Digos nella capitale e a Genova su disposizione del gip Maurizio Caivano. Arresti arrivati prima che qualcosa di «irreparabile venisse compiuto».
Un gruppo di eredi delle Brigate rosse pronti a entrare in azione, secondo i pm Pietro Saviotti e Erminio Amelio, che erano sulle loro tracce dal 2007, quando da una cabina telefonica in val d’Aosta partì una chiamata per il negozio di cornici a Roma di Luigi Fallico, 57 anni, esponente negli anni ’80 dell’Unione comunisti combattenti con rapporti diretti con l’irriducibile Nadia Desdemona Lioce, considerato il capo dell’organizzazione e attivissimo nel tentativo di contattare esponenti delle vecchie Br nel suo progetto di ripristino della lotta armata. Una strana telefonata quella intercettata con Gianfranco Zoja, 55 anni, l’ex armiere della colonna genovese delle Br fermato nel capoluogo ligure assieme all’agricoltore incensurato Riccardo Porcile: Zoja ordinava una cornice per un quadro, un lavoro che però doveva essere eseguito un mese dopo. Da questa stranezza si sono intensificate le indagini già in corso, che erano partite dallo sviluppo dei contenuti di alcuni documenti sequestrati ai Br Roberto Morandi e Cinzia Banelli, coinvolti nell’omicidio D’Antona, e monitorando i contatti tra i brigatisti e la galassia del «movimento rivoluzionario». Ma è stato soprattutto il modus operandi adottato dagli arrestati a far capire agli uomini della Digos che era necessario approfondire quei rapporti: tecniche di spedinamento, nessuna conversazione interessante nel corso delle telefonate ma soltanto appuntamenti fissati da tempo secondo la prassi brigatista dei «recuperi strategici» degli incontri mancati. Nella capitale sono stati arrestati anche Bruno Bellomonte, 60 anni, rappresentante di spicco dell’indipendentismo sardo, a Roma per incontrare Fallico, e Bernardino Vincenzi, 38 anni, al quale è stata sequestrata una pistola. Arresti domiciliari per l’età avanzata, invece, per Vincenzo Bucciarelli, che custodiva un’arma del capo banda. Poi ci sono altri 15 indagati, tra cui Ernesto Morlacchi, figlio dell’ex Br Pierino Morlacchi, considerati fiancheggiatori del gruppo. I reati contestati sono l’associazione eversiva, la banda armata e la detenzione di armi. Le armi sequestrate a Genova (tra cui due mitragliette e una bomba a mano) erano in uno zaino fino a poche ore prima nascosto sottoterra, segno che gli arrestati erano pronti a compiere un attentato o una rapina di autofinanziamento.
Il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha definito l’operazione come di «eccezionale importanza», che ha impedito la «riorganizzazione della lotta armata in Italia»; e nel congratularsi con il capo della polizia Antonio Manganelli, e il questore di Roma, Giuseppe Caruso, il ministro ha sottolineato che i fermati «si accingevano a ricostruire una struttura operativa delle Brigate rosse, pronta a colpire con azioni eclatanti».
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