Ferrari, Fiat «gioca» la quota Mediobanca

In cassa affluirebbero 230 milioni. Il nodo della partecipazione al patto di sindacato

Pierluigi Bonora

da Milano

Fiat potrebbe cedere la partecipazione in Mediobanca, quell’1,8% che frutterebbe alle casse del Lingotto 230 milioni (alle quotazioni di ieri) con una plusvalenza intorno ai 137 milioni (la quota risulta in carico a 93 milioni). L’indiscrezione, la cui portata va al di là del valore puramente economico dell’operazione, è trapelata da ambienti vicini alla trattativa in corso sul riacquisto, da parte torinese, della quota Ferrari ceduta nell’estate del 2002 alla banca d’affari.
Per l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, una volta definito il perimetro del gruppo industriale, una partecipazione come quella in Mediobanca non risulterebbe più strategica. Ecco perché nel negoziato sull’importante fetta del Cavallino (l’11,7% che diventa il 29% se si considerano anche le quote di Commerz, Abn Amro e Popolare dell’Emilia Romagna, monetizzabili dalle tre banche entro il mese) potrebbe entrare anche l’1,8% del Lingotto in Piazzetta Cuccia.
Proprio di recente, infatti, Marchionne avrebbe detto di lavorare a 360 gradi sul caso Ferrari, non scartando quindi l’ipotesi della cessione della partecipazione storica nell’istituto fondato nel 1946 da Enrico Cuccia.
«È una possibilità tutt’altro che remota - commenta una fonte finanziaria - in quanto una volta venuta meno una serie di intrecci azionari, per Torino la quota in Mediobanca non rappresenta più un asset strategico. Inoltre si tratta di una partecipazione facilmente liquidabile e trasformabile in cash».
Se si concretizzerà, l’addio della Fiat alla quota di Mediobanca (l’istituto, di cui è presidente Gabriele Galateri di Genola, detiene il 2,15% del Lingotto) suonerebbe come la rottura di una intesa che durava da decenni e che saldava la famiglia Agnelli alla banca di Cuccia. D’altronde anche la scelta di Marchionne di non ripetere in futuro accordi con scambi azionari, sul modello del difficile matrimonio concluso lo scorso anno con la General Motors, puntando solo su intese industriali e commerciali per rafforzare il core business del gruppo, contrasta con i principi su cui è nato il rapporto con Mediobanca. Quello, cioè, di sostenere la crescita del gruppo anche attraverso operazioni di finanza straordinaria, secondo l’impostazione che Cuccia aveva voluto dare all’istituto.
Per la risalita della Fiat in Ferrari sono, dunque, giorni decisivi. Marchionne considera la casa di Maranello un asset strategico con un potenziale ancora da esprimere («insieme al presidente Luca di Montezemolo e al direttore generale Jean Todt sono convinto che i margini operativi possano continuare a migliorare come hanno già fatto nel 2005»), ribadendo nei giorni scorsi di avere tutte le intenzioni di «riprendersi la posizione della Ferrari che è in mano ad altri». L’amministratore delegato del Lingotto ha anche ricordato come «la quotazione del Cavallino rampante non è allo studio e che nei piani del gruppo la Ferrari è destinata a restare fuori dal polo sportivo Alfa Romeo-Maserati».


Nel primo trimestre dell’anno la Ferrari ha conseguito ricavi per 317 milioni, con una crescita del 27,3% rispetto allo stesso periodo del 2005. La casa di Maranello ha inoltre chiuso i primi tre mesi con un risultato della gestione ordinaria positivo per 11 milioni, contro la precedente perdita di 8 milioni.

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