Una festa paesana per i 150 anni dell’Unità d’Italia

Caro Granzotto, i festeggiamenti per il 150º dell’Unità d’Italia sono cominciati e sono anche cominciate le polemiche. Fra i miei numerosi appunti sull’argomento ho scelto queste tre citazioni: Antonio Gramsci, «lo stato italiano era una feroce dittatura che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, seppellendo vivi i contadini poveri che gli scrittori sardo-piemontesi tentarono di infamare con il marchio di briganti». Il messinese La Farina, uno degli organizzatori dello sbarco garibaldino: «I bricconi più svergognati, gli usciti di galera per furti e ammazzamenti, compensati con impieghi e con gradi militari. La sventurata Sicilia è caduta in mano di una banda di Vandali». Il Contemporaneo, giornale di Firenze del 1861, ci dà una statistica dei primi mesi dell’operato dell’esercito sabaudo nelle province meridionali: «Morti fucilati istantaneamente: 1.841; morti fucilati dopo poche ore: 7.127; feriti: 10.604; prigionieri: 6.112; sacerdoti fucilati: 54; frati fucilati: 22; case incendiate: 918; paesi incendiati: 5; famiglie perquisite: 2.903; chiese saccheggiate: 12; ragazzi uccisi: 60; donne uccise: 48; individui arrestati: 13.629; comuni insorti: 1.428». Mi chiedo: perché invece di scannarsi per sapere quanti milioni di euro andranno a un Comune piuttosto che a un altro non si istituisce una volta per tutte una bella Commissione di storici per inquadrare nella sua giusta e obiettiva dimensione il Risorgimento? Forse capiremmo meglio il motivo della cosiddetta «questione meridionale»!
Bruxelles

È fuor di dubbio, caro Rossetto, ma l’occasione è andata persa per cui mettiamoci una pietra sopra. Quello dei festeggiamenti per il centocinquantesimo dell’unità d’Italia è un regalino di Romano Prodi, caro Rossetto. Ovvero del peggior presidente del Consiglio che l’Italia repubblicana abbia avuto. Sua l’idea di un bislacco centocinquantenario (simili celebrazioni reggono solo, e non sempre, le scadenze tonde), sua, suissima l’idea di farne un caravanserraglio, una sorta di riffa strapaesana. Tutto ciò nominando un comitato di garanti eterogeneo per culture, competenze e personalità (con una buona rappresentanza e di nani e di ballerine) e indicando quale «elemento fondante» delle celebrazioni una capillare attività edilizia di «carattere culturale e scientifico». Come a esempio il «riuso» del deposito merci di Imperia con «punti di ristoro e parcheggio con fotovoltaico», la «delocalizzazione del campo di calcio» di Isernia o l’ampliamento molto culturale e molto scientifico dell’aeroporto Sant’Egidio di Perugia. La cosa migliore e la prima da fare sarebbe stata nominare due comitati. Uno di storici, gli unici a poter dare la necessaria rilevanza e profondità di contenuti all’avvenimento. L’altro, se proprio vogliamo, composto da esperti in lazzi e edilizia culturale, in retorici e quindi assai prodiani «luoghi della memoria», in fiere, triccheballacche e putipù. Ma Prodi, che non a caso è Prodi, non lo ha fatto. Predestinando il centocinquantenario al fallimento per mancanza di serietà, per giuggiolaneria del progetto.
Ora, in dirittura d’arrivo, si tenta di salvare il salvabile sostituendo alla presidenza del comitato il dimissionario Ciampi con quella buona lana di Giuliano Amato il quale, essendo stato un fedele scudiero di Bettino Craxi, almeno qualcosa su Garibaldi sa. Però, anche con la discesa in campo del sedicente Dottor Sottile non si illuda, caro Rossetto. Partito male, il centocinquantenario non potrà che finir peggio.

Non aspettiamoci, oltre alla delocalizzazione del campo di calcio di Isernia, che qualche albero della cuccagna risorgimentale, qualche tombola unitaria, qualche concerto rock tricolore, qualche rivisitazione in piazza dell’incontro di Teano, qualche patriottico girotondo antiberlusconiano. Il meglio del prodismo sinceramente democratico, insomma.

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