Fiera del Libro

da Torino
Non poteva che essere così: nonostante i cortei sgangherati e i tentativi di boicottaggio ininfluenti, il bilancio della Fiera del Libro di Torino, che si chiude oggi, è più che positivo. L’offerta culturale è stata di alto profilo e ha mantenuto le promesse. Ne abbiamo avuto ulteriore prova ieri mattina, con l’intervento di Sandro Toth (ora Zvi Yanai), scrittore israeliano che ha regalato al pubblico del Lingotto un momento di grande impatto emotivo. Come Aharon Appelfeld, al quale è stato paragonato (in realtà sono molto diversi), anche la sua testimonianza, raccolta nel libro Il fratello perduto (Bompiani, pagg. 444, euro 19), affonda nel periodo più buio del ’900. È l’ennesima, purtroppo, epopea di una famiglia distrutta dai conflitti e dalle circostanze anche se, come ogni storia di guerra, possiede una sua tragica unicità.
«Ho raccontato la mia vita - ha spiegato l’autore - lasciando volutamente dei vuoti che ognuno può riempire come meglio crede. È una vicenda come il formaggio Emmenthal, con tanti buchi. E il lettore potrà farsi tutte le domande che vuole». Una cosa è certa: la vita è una roulette, tutto sta nel nascere al posto giusto e al momento giusto, altrimenti il tuo destino è segnato. E Sandro-Zvi è nato nel posto e nel momento sbagliato. Anche se poi, alla fine, la ruota gira per tutti.
Sono gli anni dei conflitti in Europa. La madre è un’ebrea austriaca, ballerina; il padre un cantante lirico ungherese, protestante. Sono artisti, giovani e un po’ incoscienti. O meglio, spensierati come solo lo si può essere a quell’età. Tra una tournée e l’altra nascono quattro figli, in Italia, tra cui Sandro e un altro bimbo che scomparirà; un fratello, forse reale o forse inventato, che diventerà l’interlocutore principale del libro. Escamotage letterario o no, l’autore non lo rivela. Yanai viene a sapere dell’esistenza di un certo Romolo Benvenuti, professore universitario a Roma. Decide di scrivergli una lettera, e così fra i due inizia una corrispondenza prima professionale, poi sempre più personale. Fin quando gli porrà la domanda che lo tormenta da sempre: «Sei tu mio fratello, Romolo Toth, nato a Catanzaro nel 1933, affidato a una balia e, per qualche misteriosa ragione, lasciato presso di lei?».
Arriva la seconda guerra mondiale, le persecuzioni e le leggi razziali. La nonna viene uccisa in un lager polacco, la mamma muore, il padre finisce in Ungheria e la balia, Ida, si prende cura di tre orfani, fino a che, a guerra finita, non li affida ai soldati della Brigata Ebraica per portarli in Palestina dove vive uno zio materno.
Ed è proprio la balia a occupare un ruolo centrale nel racconto di Yanai. «Ida era un membro della famiglia, per noi è stata una seconda madre. Aveva conosciuto i nostri genitori nella sua città natale, Monselice, vicino a Padova. Ci seguì in tutti i nostri trasferimenti e i nostri vagabondaggi per l’Italia. Quando siamo rimasti orfani si è presa cura di noi sfidando ogni pericolo e mettendo a repentaglio la propria vita. Eravamo stati battezzati e cresimati, ma il rischio che scoprissero le nostre radici ebraiche era sempre presente. Come scrisse Primo Levi a proposito della figura stupenda di Lorenzo in Se questo è un uomo, anche l’umanità di Ida era pura e incontaminata».
Non a caso il 24 febbraio 1993 lo Yad Vashem (il memoriale ufficiale di Israele delle vittime ebree dell’Olocausto) decise di riconoscere Giusto tra le nazioni Ida Brunello Lenti, la tutrice dei tre piccoli orfani abbandonati dagli uomini e da Dio. L’annuncio le fu recapitato nell’aprile del 1993 e fu invitata a incontrare Avi Panzer, l’ambasciatore israeliano a Roma. Un riconoscimento che fino a oggi è stato assegnato a 21mila persone di quarantadue Paesi. In seguito fu invitata in Israele insieme a una delegazione di Giusti che avevano subito l’occupazione tedesca. Ida piantò un albero che porta il suo nome, da allora immortalato nella pietra.


Questo è solo un passaggio della lunga testimonianza di Yanai che oltre a descrivere questa toccante vicenda umana e i personaggi straordinari che le ruotano intorno, rappresenta la lenta conquista dell’ebraismo che sostituisce (ma non dimentica) l’identità europea d’origine.
m.gersony@ilgiornale.it

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