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Figli e figliastri dell’Italia in divisa: soldi ai partigiani, briciole agli alpini

Partigiano una volta, partigiano per sempre. E per sempre partigiani anche i figli, e i figli dei figli. Evidentemente l’essere stato o arruolato nell’Esercito di liberazione conferisce stimmate capaci di perpetuarsi geneticamente nella popolazione, di trasmettersi di generazione in generazione, dai nonni ai nipoti. Altrimenti non si spiegherebbe in alcun modo come avviene la ripartizione dei fondi che lo Stato destina ogni anno alle associazioni dei partigiani e alle associazioni d’arma. La storia si è ripetuta anche quest’anno: i contributi statali destinati per il 2009 a venti associazioni Patriottiche e d’Arma, così come sono stati approvati dalla Camera dei deputati, sono meno della metà di quelli riservati a otto associazioni fra partigiane e assimilabili. Con la piccola differenza che le associazioni d’Arma, quelle, tanto per intenderci, che esistono dall’Unità d’Italia e che hanno combattuto in tutte le guerre nazionali, raccolgono ancor oggi quasi 500mila iscritti di varie generazioni provenienti dal gettito della leva. Mentre ormai l’ottanta o novanta per cento di quei 30mila uomini che combatterono fascismo e nazismo (divennero milioni soltanto il 25 aprile) è ormai deceduto. Ciononostante partigiani e compagni vari hanno ricevuto ancora oggi 563mila euro di soldi pubblici.
Per le associazioni d’Arma quali alpini, bersaglieri, carristi e via dicendo il contributo è stato di soli 255.500 euro in tutto.


Una domanda poi sorge spontanea: dove vanno tutti questi soldi?
Le venti Associazioni d’Arma, aggiungendovi del proprio, utilizzano questi bruscolini per organizzare raduni nazionali e generare solidarietà o nuclei di protezione civile, come dimostrano alpini, carabinieri, bersaglieri, marinai ecc. Ma anche per allestire raccolte di reperti, mostre storiche, celebrazioni nazionali. E le Associazioni partigiane come investono i loro fondi?

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