Il figlio del muratore emigrato ora guida un impero miliardario

Nato poverissimo, ha creato una delle più grandi multinazionali della meccanica italiana

Il figlio del muratore emigrato ora guida un impero miliardario

Il suono del clacson. Il fischio del padre. Se la vita è un pendolo che oscilla fra i due estremi, l'angoscia dell'assenza e l'armonia di una presenza, allora quella di Fulvio Montipò, imprenditore e creatore di un colosso della meccanica come il gruppo Interpump, è racchiusa in una breve colonna sonora.

"Tutti gli anni - ricorda Montipò - a febbraio papà partiva per la Svizzera. La mamma, con gli occhi rossi, preparava le valigie, io invece cominciavo a soffrire. L'ultimo giorno sentivo il suono del clacson che mi portava via papà. Era la corriera che scendeva dai monti dell'Appennino reggiano e a ogni strombazzata, fra curve e tornanti, la mia angoscia cresceva. Poi papà mi salutava, saliva e spariva dietro un'altra curva. Sapevo che l'avrei rivisto alla fine della stagione. Più o meno a novembre. La mamma, che andava a fare la serva, come allora si diceva senza tanti giri di parole, lo seguiva a ruota e io venivo affidato alla famiglia più povera di Baiso, il mio paese. Dormivo in un sottoscala affacciato su un rigagnolo di fogna e guardavo colmo di rabbia quel mondo così inospitale e insopportabile".

Ma per fortuna il pendolo andava anche nell'altra direzione e misteriosamente riportava al bambino sfortunato quel che gli era appena stato tolto: "Quando papà Renato tornava a Baiso riprendeva la sua occupazione. Era un muratore: faceva correre le mani sui muri, impastava, costruiva e intanto, contento di quel che stava realizzando, fischiava. Fischiava. E fischiava ancora. Quel fischio portava allegria, mi riempiva e mi trasmetteva una certezza positiva".

Quel suono e quel fischio devono aver combattuto a lungo sulla bilancia del carattere. Montipò oggi guida un impero con oltre cinquemila dipendenti e stabilimenti un po' ovunque, dall'India alla Germania. Interpump è leader mondiale nella produzione di macchine per il lavaggio industriale, il fatturato corre verso il traguardo dei 900 milioni di euro e, in prospettiva, la soglia del miliardo.

Ma allora lui non lo sapeva: "Sono nato nel 1944 e ho trascorso un'infanzia poverissima. Due fratellini sono praticamente morti di fame. Un giorno, avevo otto anni, finalmente andai in Svizzera per una fortunata combinazione a trovare papà. Ero felicissimo, ma quando arrivai e aprii la porta della baracca in cui alloggiava, rimasi gelato da tanta miseria. Dalla mancanza di tutto. Quel giorno maledissi Dio". Anche se forse quella del piccolo Fulvio era più un'invocazione di aiuto che una bestemmia.

A sorpresa la risposta arriva: "Il maestro andava spesso da papà e gli diceva: Renato, tuo figlio non deve smettere di studiare, sarebbe un peccato. Lui, poveraccio, allargava le braccia. Un giorno il maestro si presentò con un sorriso così stampato in faccia: Renato, ho trovato la soluzione. C'è un collegio dei Servi di Maria a Dinazzano. Fulvio farà il concorso e se lo passa farà le scuole senza pagare. Vitto e alloggio compresi. Papà si arrese e io non persi l'occasione".

È la svolta. L'uscita da un destino senza cielo e senza speranza. Una seconda borsa di studio lo proietta verso il liceo, poi ecco l'università, a Trento. E la ricerca di un lavoro. La rabbia si fa audacia. Sfrontata: "Avevo in tasca una vecchia lettera inviatami un paio di anni prima da una delle più grandi industrie meccaniche di Reggio: la Bertolini. Sventolando quel pezzo di carta un venerdì mi presentai ai cancelli. Lei ha appuntamento? Certo". Fui ammesso. Il direttore generale quando scopri il trucco scoppiò a ridere. Rimanemmo a parlare quattro ore. Alla fine mi salutò con parole di incoraggiamento: Ok, alla prima occasione le darò un impiego. Eh no, mi faccia fare qualcosa subito, fu la mia replica inattesa. Stette un attimo a riflettere: Venga lunedì, ma non le assicuro nulla. Il lunedì mi fu data una scrivania davanti al cesso. Ero felicissimo. Tre anni dopo ero direttore generale, intanto mi ero laureato".

Lo stipendio sale vertiginosamente, la miseria diventa solo una cartolina in fondo a un cassetto. Ma il meglio deve ancora venire. E arriva a grandi passi: "Sognavo, continuavo a sognare e intravedevo il futuro. Le macchine per il lavaggio industriale. Lavare un capannone, un trattore... Eravamo all'anno zero, intuivo che si stava aprendo un filone d'oro". La sfida viene lanciata nel 1977: "Costituii una società praticamente da solo. E partii con la realizzazione delle macchine per il lavaggio industriale. L'idea era quella di innovare, anzi di rivoluzionare la produzione scommettendo sui pistoni in ceramica. All'epoca i pistoni delle macchine erano tutti d'acciaio che col tempo si rigava. Io ero convinto che i pistoni di ceramica non si sarebbero deteriorati, rigati, e avrebbero avuto una lunga vita. Passavo le giornate al tecnigrafo. Ma intorno a me regnava lo scetticismo: È inutile, con la ceramica ci hanno provato anche i giapponesi e hanno fallito. Lascia perdere. Io però non davo retta a quei consigli, a quella sentenza di morte: provavo e riprovavo, giravo come una trottola per l'Europa. E non mollavo".

Alla fine i pistoni vengono ordinati in Francia. La produzione delle pompe può cominciare: "Mettiamo in moto, passa un istante e si sente un tac. Che è successo? Maledizione, il pistone si è rotto. Riproviamo: ancora tac. E poi tac. Panico. È una notte di terrore. Al mattino un operaio ha l'idea giusta: c'è un'infiltrazione d'acqua, basta un accorgimento e tutto si sistema".

Interpump fa subito boom: un miliardo di fatturato che raddoppia in dodici mesi. Il terzo anno il giro d'affari raggiunge quota 4 miliardi, il quarto 8. Il resto è una collana di successi: la crescita esponenziale, con il fatturato ormai proiettato verso la barriera, suggestiva, del miliardo di euro, le acquisizioni in giro per il mondo, l'ingresso nel campo delle pompe a olio.

A 72 anni Fulvio Montipò è sempre sul ponte di comando a S. Ilario d'Enza, presidente e amministratore delegato.

Qualche volta, quando fa silenzio, gli capita di risentire quel fischio armonioso che viene dritto dall'infanzia. Così, tempo fa, nel ricevere un premio a Milano, ha spiegato alla platea che il lungo viaggio era finito: "Oggi ho finalmente sepolto le valigie di mio padre".

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