Figo e il mondiale «Il meglio deve ancora arrivare»

Domani a Monaco Francia-Portogallo. L’interista è tornato un re dopo l’eclissi all’Europeo 2004

Tony Damascelli

Quella sera, dico la sera di Portogallo-Inghilterra, due anni fa a Lisbona, Luis aveva gettato via, nell’aria umidiccia dello stadio Da Luz, la fascia di capitano, senza salutare nessuno, Scolari e il resto della compagnia portoghese che stava soffrendo, sudando, lottando per recuperare lo 0 a 1 con i sedicenti leoni di sua Maestà, in vantaggio con un gol di Owen. Venne Helder Postiga, segnò il pareggio che prolungò il match ai supplementari e poi ai rigori finali che rispedirono a casa l’Inghilterra portando in semifinale i lusitani. Figo era scomparso, non una voce, non un respiro, nessuno lo vide uscire dallo stadio, nessuno riuscì ad acciuffarlo con una telefonata.
La gente di Lisbona, ubriaca di gioia, urlò che Luis era un venduto, un ricco pensionato, un traditore, un senza sangue ed era arrivato il momento di farla finita con certi elefanti, lui, Rui Costa e simili. Figo si presentò agli allenamenti, si presentò alla semifinale, vinta, e alla finale, persa. Si pensò che avrebbe tirato giù la saracinesca e messo in naftalina la maglia color vinaccio.
Due anni dopo Luis Filipe Madeira Caeiro, in arte Figo e basta, si prepara a dire ancora cose interessanti al popolo, non soltanto quello portoghese che è tornato ad amarlo e accarezzarlo. Perché Figo è un bell’uomo, d’accordo, ma è ancora e soprattutto un bel giocatore, rilanciato dall’Inter e dal football italiano che lo aveva accolto, dico i giornalisti noi tutti o quasi, come l’astuto miliardario passato a ritirare gli ultimi denari a casa Moratti. Luis Figo ha smentito la gente di Lisbona e quella di Milano e del resto d’Italia, eccolo pronto ad affrontare la Francia: «O melhor ainda esta para vir», è il suo slogan di carriera e di esistenza, il meglio deve ancora venire. Chissà. Il meglio può essere la Francia in semifinale o Berlino, nella finale di domenica sera. Dica 33, si potrebbe giocare con i suoi anni che non sono freschissimi, visto il logorio del football moderno, ma che non devono ingannare. Perché, come usava dire Michel Platini, «chi sa sa e chi non sa non saprà mai». Luis Figo è uno di quelli che sa, come Zinedine Zidane, ex sodale suo di cose madridiste, e domani rivale e nemico di cose mondiali, nella sfida che vale la finale.
Antonio e Maria Joana, commercianti di abbigliamento a Lisbona, padre e madre di Luis, non potevano immaginare che il pupo detto Pastiglia (perché la sua prima squadra era quella del quartiere Os Pastilhas, ad Almada, borgo di Lisbona) un giorno sarebbe andato sposo a una clamorosa modella svedese di nome Helene, conosciuta a uno spettacolo del ballerino Cortes. Helene è più pericolosa di un dribbling di Luis ma la loro storia resta privata, senza strilli e lazzi, Daniela, la figlia rientra in questo quadro discreto. Un po’ come il gioco di Figo, uno che fa cose eccezionali con la normalità del campione, perché il suo football sembra ordinario ma ha lo spessore e la qualità della giocata di classe, il suo dribbling non è fantastico ma cinico, il tiro a rete potente ma non propotente, la postura non proprio elegante, anzi a volte gobba come se Luis debba passare sotto una porta virtuale, un ostacolo basso.
Non è nemmeno giusto farne un santo, meglio duro che puro. Ai tempi belli riuscì a firmare due contratti in una volta sola, con il Parma e con la Juventus che restarono con gli autografi del portoghese, nel frattempo emigrato dallo Sporting di Lisbona al Barcellona. Per poi tradire ancora, nel senso pallonaro, trasferendosi al Real Madrid che lo ricopriva di pesetas poi diventati euro, sei milioni netti a stagione, come gli altri quattro galacticos. Ronaldo, Zidane, Roberto Carlos e Beckham.
Il tradimento suddetto non è stato mai accettato dalla tifoseria blaugrana, un catalano agitatissimo invase il campo durante l’europeo, proprio in quella notte amara contro l’Inghilterra e gettò sul viso di Luis la maglietta blaugrana. Luis non si mosse di un centimetro, non traballò, prese il drappo e lo consegnò a un poliziotto. Altri rancori: la sera di un Barcellona-Real, da un gradone del Camp Nou gli arrivò un messaggio simbolico, una testa di porco: altre novità?
Proprio una sfida tra le due padrone della Liga gli fece capire che per lui non era più aria, quella di Spagna.

Apprese dai giornali di essere stato fatto fuori dal presidente Perez, non era in formazione, né titolare, né riserva, si tirò da parte, come quella notte allo stadio da Luz di Lisbona, in attesa di ricevere una telefonata che arrivò da Milano.
Il resto è cronaca, oltre che vita. Luis Figo va a giocarsi la semifinale mondiale, contro i francesi, contro chi strillava al tradimento. La sua partita continua, silenziosa.

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