Un approccio difficile, quello con Roma, per un giovane artista che decida di confrontarsi con la magnificenza storico-artistica di un luogo le cui visioni imponenti e reverenziali possono inibire anziché stimolare il dialogo con i linguaggi contemporanei. Tale imbarazzo sembra essere evitato, con la dovuta ironia, da Jeremy Fish giovane artista americano (nato a New York e residente a San Francisco, indiscusso protagonista della scena creativa underground) che, approdato a Roma qualche settimana fa con lintento di realizzare un progetto site-specific, ha deciso di scrutare oltre lepidermide ufficiale e solenne della città, insinuandosi invece nel microcosmo della vita quotidiana. Con lo sguardo disincantato di chi il territorio urbano è abituato a indagarlo e a viverlo in maniera trasversale e senza filtri, partendo dal basso, dai marciapiedi, dallasfalto, Fish coglie lessenza della città eterna rielaborandone alcuni caratteristici tratti nei suoi inconfondibili canoni espressivi: sofisticate composizioni grafiche che mescolano cultura alta e bassa, alfabeto classicista e free-style, citazioni colte e figurazioni oniriche desunte dalluniverso infantile. Il risultato della sua indagine romana è la mostra «Rome-antic delusions» (presso BeCool, via del Leone 10, nellambito del ciclo espositivo «Urban Renaissance») che abbina bizzarri scatti fotografici (realizzati da M.
Pulvirenti e che ritraggono lartista mentre svolge mestieri tradizionali) a disegni che ricalcano lequilibrio compositivo tipico degli stemmi araldici e si presentano come visionari assemblaggi tra figure ibride, strumenti del mestiere e creature fantastiche, in cui le maestranze citate recuperano una nuova simbologia e, al contempo, rivendicano la propria importanza e rispettabilità. In mostra anche una selezione di lavori precedenti in grado di illustrare le diverse tappe del percorso artistico di Fish.Le figure «ibride» della vita di tutti i giorni
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