Cultura e Spettacoli

Fin dall’800 lo Stato confonde istruzione con omologazione

Dal 1861 cala su regioni disomogenee un progetto livellatore. Parte dalle elementari

Quando il Regno d’Ita­lia creato dall’espan­sionismo dei Savoia e dall’idealismo un po’ sconclusionato di Garibaldi vide la luce, la nota espressio­ne di Massimo D’Azeglio su­gli italiani «da farsi» ebbe il merito di fotografare alcuni elementi della situazione ve­nutasi a creare. A dispetto di una storia articolata e di inte­ressi divergenti, l’Italia del 1861 calava istituzioni unita­rie su città e regioni del tutto disomogenee. La realtà cede­va il posto all’ideologia, dato che il progetto nazionale, «fa­re gli italiani», era impregna­to di un costruttivismo socia­le - un delirio da pianificatori - che avrebbe ristretto le liber­tà e causato enormi danni. La scuola pubblica obbliga­toria appartiene a questa logi­ca: non tanto e in primo luo­go, come spesso si sente dire, sulla base di motivazioni umanitarie, ma invece al fine di realizzare una società che fosse coerente con gli schemi culturali e gli obiettivi politi­co- militari dell’élite al pote­re. L’Italia di metà Ottocento era cattolica e vernacolare: per nulla disposta, dunque, a «morire per la patria». La reli­gione civile e patriottarda aveva allora bisogno di mae­stri che fossero manipolatori delle coscienze: non già edu­catori scelti dalle famiglie, ma imbonitori d’apparato, nutriti di quella religione se­colarizzata che coincide con la celebrazione della Patria. Al riguardo ci sono tre libri che meglio di tanti altri aiuta­n o a cogliere il significato che la scuola statale, in Italia e al­trove, è venuta ad assumere: Cuore del socialista-naziona­le Edmondo De Amicis, un in­digeribile libro per ragazzi ca­rico di suggestioni che- ovvia­mente - piaceranno tantissi­mo agli alfieri della cultura fa­scista; Niente di nuovo sul fronte occidentale del pacifi­sta Erich Maria Remarque, che mostra come l’inutile strage delle trincee sia stata preparata dal lavaggio del cervello operato dai professo­ri tedeschi innamorati del Se­condo Reich; e, infine, I mi­sfatti dell’istruzione pubblica di Denis de Rougemont, un delizioso libretto sullo squal­lore di scuole gestite come uf­fici postali, dove si evidenzia che la massificazione demo­cratica h a bisogno di una cul­tura mediocre e istituzioni to­talizzanti. La situazione ora è diversa, ma non del tutto. Anche se la classe docente del nostro tempo è più propensa a cele­brare il terzomondismo che il primato degli Italiani, e an­che se indulge a u n pacifismo sciocco piuttosto al militari­smo di primo Novecento, è pur vero che oggi come allora l’esercito malpagato degli in­segnanti pubblici continua a lavorare per il Re di Prussia: fuor di metafora, sono cam­biati gli slogan ed è mutata la retorica, ma i docenti statiz­zati seguitano a sposare le po­sizioni più conformiste e, nei fatti, più vantaggiose per il blocco sociale dello status quo . Se nelle scuole pubbliche a troppi studenti sono propina­ti banalità ecologiste e solida­rismo d’accatto, per avere un’istruzione di altro tipo questo ambito va restituito al­le famiglie, agli studenti, ai professori stessi. Le scuole devono essere tolte allo Stato e ridate alla società, affinché competano liberamente: sce­gliendo i propri insegnanti, delineando i propri program­mi, definendo i propri proget­ti educativi.

Perché un uomo è davvero molto più che un semplice cittadino.

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