(...) E il fatto che tutta la politica e le istituzioni, da sinistra a destra, passando per la Lega di Francesco Belsito, si siano trovate dalla stessa parte, è comunque una notizia. Così come è ancor più una notizia il fatto che siano scesi in campo soggetti che, solitamente, non si sentono: dagli avvocati ai taxisti con la striscia gialla «Fincantieri non deve chiudere», dallAscom di Paolo Odone in versione rivoluzionario, agli artigiani di Cna e Confartigianato schierati da Cino Negri.
Ma, detto tutto questo, e preso atto del fatto che la vicenda è finita bene (per il momento), non si può nascondere la testa sotto la sabbia e far finta che non sia successo niente. Non si può mettere la polvere sotto il tappeto e dire che la casa della cantieristica è pulita.
Perché i problemi per la cantieristica italiana e mondiale sono identici a quelli che cerano prima del ritiro del piano. E, senza ordini, i cantieri possono rimanere aperti a vita, ma occorre chiamare le cose con il loro nome: e cioè che non danno posti di lavoro, ma danno posti. E cioè che rischiano di trasformarsi in ammortizzatori sociali, versione al pesto dei lavori socialmente utili siciliani.
Insomma, festeggiando il mantenimento delloccupazione, occorre iniziare a guardarsi in giro. Ad esempio, non dicendo un no pregiudiziale - come hanno fatto Marta Vincenzi e Mario Margini - allipotesi che a Sestri ci vadano anche le riparazioni navali. Ad esempio, non facendo assurde barricate ideologiche contro nuovi mercati, come poteva essere quello delle carceri galleggianti. Ad esempio, non chiudendo gli occhi di fronte ai dati che arrivano dagli Stati Uniti dove i dipendenti di Fincantieri Usa lavorano 1800 ore allanno contro le 1300 ore italiane. E stiamo parlando di Stati Uniti, non di Corea, Cina o dei Paesi dellEst senza le garanzie sindacali.
Se alcuni lavoratori dello stabilimento di Riva Trigoso, che ha dei problemi strutturali anche a causa del bacino poco profondo, venissero destinati alla fabbrica spezzina del Muggiano, qualcuno potrebbe parlare di «deportazione»? Davvero pensiamo che, nel 2011, a parità di posto di lavoro, chiedere di fare cinquanta chilometri in più per andare a lavorare sarebbe un dramma? Soprattutto sarebbe un dramma se venissero mantenuti tutti i posti di lavoro di Riva e, magari, se ne creassero molti di più lasciando spazio ad attività turistiche smantellando siti industriali retaggio di un mondo che non cè più?
Se la vittoria del ritiro del piano industriale (su cui lazienda ha sbagliato moltissimo nella gestione dei tempi e nelle comunicazioni), non sarà abbinata al tentativo di dare risposte a queste domande, sarà una vittoria di Pirro.
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