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Così si estinguono le Coop

Scandali, tangenti, fallimenti e spaccature interne: la Lega delle coop affronta la crisi più grave della sua storia

Così si estinguono le Coop

Roberto Casari, finito in carcere per l'inchiesta sugli appalti della Cpl Concordia a Ischia, è stato presidente della cooperativa modenese per 40 anni: dal 1976 fino al 2014. Una longevità rispettabile che, però, non è da primato. A far meglio è stato Turiddo Campaini, padre padrone di Unicoop Firenze, la più grande tra le catene di supermercati coop in Italia: è diventato presidente nel 1973 e solo l'anno scorso ha deciso di fare un passo indietro. Per essere precisi, un mezzo passo indietro: a «furor di popolo» i soci hanno creato la carica di presidente onorario e l'hanno offerta allo stesso Campaini. Che, dicono le malelingue, a 74 anni e da presidente onorario, comanda più o meno come prima. Nel frattempo, con la nuova poltrona, in Unicoop Firenze i presidenti sono diventati tre, e questo sì deve essere una specie di record: presidente del consiglio di sorveglianza, del consiglio di gestione e, per l'appunto Campaini.

Appena più giovane è Claudio Levorato, 66 anni: è stato nominato presidente di Manutencoop nel 1984 ed è ancora lì adesso. Sotto la sua guida la cooperativa è diventata il primo gruppo in Italia nel settore del facility management, vale a dire nella gestione (dall'amministrazione al riscaldamento) di grandi complessi edilizi, con un fatturato intorno al miliardo di lire. Di recente Levorato è stato messo sotto pressione da una serie di inchieste giudiziarie legate agli appalti per la cosiddetta Città della Salute di Sesto San Giovanni. Ma a difenderlo è stato lo stesso numero uno della Lega delle cooperative Mauro Lusetti, subentrato a Giuliano Poletti, diventato ministro: Levorato resti al suo posto finché la Cassazione non dirà l'ultima parola.

Tre storie diverse. Ma anche a modo loro tre storie esemplari. Soprattutto della capacità di persistenza al potere degli oligarchi cooperativi, in grado di superare senza danni scandali e crisi aziendali. Finito il rapporto diretto con Pci e Psi, per la crisi dei partiti della sinistra (tradizionale, il potere di coordinamento e di indirizzo della Lega delle cooperative si è un po' alla volta sfilacciato. Il mondo delle coop è diventato una federazione di gruppi di interesse e di principati. E i singoli principi hanno iniziato a scegliere i politici di riferimento senza dover temere troppo per il loro potere.

Da questo punto di vista l'esempio più evidente è quello delle coop di consumo, i grandi supermercati che costituiscono il cuore economico del mondo cooperativo. I soci sono milioni ma a presentarsi in assemblea sono, sì e no, uno su mille. Gli statuti sembrano direttamente ispirati agli anni del centralismo democratico e la presentazione di liste alternative a quelle promosse dai vertici è di fatto qualche cosa di inaudito. In pratica sono i gruppi dirigenti a perpetuare se stessi. Si spiegano in questo modo casi come quello del già citato Campaini. La sua Unicoop è la più efficiente tra le coop di consumo e nel libro Falce e carrello , il suo grande avversario Bernardo Caprotti, patron di Esselunga, ha per lui parole di rispetto, fino a definirlo un «asceta» per lo stile di vita morigerato e lontano da ogni lusso.

I SETTORI IN CRISI

Campaini è stato il grande oppositore della tentata scalata di Unipol, la compagnia controllata dalle coop, a Bnl. In nome delle radici toscane ha preferito puntare tutte le sue carte (e i soldi dei soci) sul Montepaschi. Nel corso del tempo Unicoop è arrivata a detenere il 3% della banca senese. Ma la scommessa è finita in un bagno di sangue: Unicoop ha perso una cifra che prudenzialmente può essere valutata intorno ai 400 milioni di euro. Quanti manager del settore privato avrebbero salvato il posto dopo un'avventura del genere? Campaini ci è riuscito.

Adesso, però, a fare ulteriore pressione sui vertici del mondo coop è l'andamento delle aziende. La crisi ha messo a nudo i limiti del sistema, a partire dai due settori chiave: costruzioni e supermercati. Per quanto riguarda questi ultimi Mediobanca ha pubblicato a fine 2014 l'annuale rapporto sui gruppi della grande distribuzione. E le coop non ne escono bene. Sugli 11 maggiori gruppi presi in esame, sei hanno chiuso il bilancio in perdita. Su un fatturato che supera gli 11 miliardi, i soldi guadagnati dalle vendite (margine della gestione industriale) sono in tutto 47 milioni. Quelli guadagnati invece dalla gestione finanziaria sono più di quattro volte tanto. In pratica le coop di consumo guadagnano facendo le banche e non i supermercati. Qui a dare una mano è l'ormai famoso prestito sociale, i soldi che le coop ricevono dai soci, in pratica dei libretti di risparmio più o meno vincolati, che consentono alle coop di avere a disposizione una massa finanziaria notevole: nel 2013 ben 10,8 miliardi. Come dimostrano le vicende delle due coop friulane che non sono più state in grado di restituire i soldi ai risparmiatori (vedi anche spazio in pagina), è un tema delicato. I soci prestatori non hanno alcuna garanzia (per i conti correnti negli istituti di credito c'è per esempio il fondo interbancario fino a 100mila euro) e, visto che le coop non possono ufficialmente fare attività bancaria, nessuno sorveglia modalità e condizioni della raccolta.

Da qualunque parte la si guardi non è una situazione ideale. E i vertici delle coop ne sono consapevoli. Qualche settimana fa le tre potenti cooperative di consumo di Bologna, Modena e Reggio Emilia (Adriatica, Estense e Nordest) hanno votato in assemblea di fondersi. Una maniera per eliminare duplicazioni e costi. Una cosa però è parlarne e una cosa è arrivare realmente a una fusione. Già in passato ci avevano provato le coop di Lombardia, Piemonte e Liguria e poi non se ne è fatto nulla. In questo caso l'impresa appare ancora più difficile: ridurre nelle capitali della cooperazione le tre attuali strutture di vertice (con tutti i ruoli dirigenziali) a una sola, appare un'impresa da far tremare i polsi. In caso di successo le conseguenze per la Lega saranno comunque profondissime.

I BENI IN SVENDITA

A uscirne ridimensionata sarà ancora una volta Coop Italia, la centrale d'acquisto dei supermercati. In passato, avrebbe dovuto, secondo alcuni progetti, fare da incubatore per una progressiva unione delle più grandi tra le coop di consumo che operano in Italia. Poi la rivalità tra Unicoop Firenze (che per segnare la sua autonomia ha perfino deciso di adottare un proprio marchio) e le altre, ha finito anche in questo caso per bloccare tutto. Ma un futuro in cui il fatturato di Coop Italia fosse per tre quarti realizzato da Unicoop (2,8 miliardi) e dalla supercoop emiliana (a fusione completata 4,2) renderebbe praticamente inutile il ruolo della centrale d'acquisto.

Anche in questo caso la Lega avrebbe bisogno di leadership unitaria e capacità di coordinamento. Ma il caso dell'altro grande e tradizionale pilastro del sistema, quello delle costruzioni, rende evidenti problemi e incertezze su questo fronte. Il settore in Italia è precipitato in una crisi che va ben oltre il mondo cooperativo. E quanto alle coop non mancano i casi di chi come Cmb di Carpi o Cmc di Ravenna è riuscito, grazie a una diversificazione anche internazionale, a tenere le posizioni . A parte i colossi, però, è stato un disastro. Sull'ottantina di coop che operavano in Emilia una cinquantina ha dovuto fare ricorso ad ammortizzatori sociali come la cassa integrazione, 24 sono fallite o sottoposte ad amministrazione controllata. Nomi storici come Unieco e Coopsette hanno ristrutturato il debito (lo sbilancio non era lontano dai 600 milioni a testa). A gettare la spugna sono state tra l'altro Iter di Lugo, Orion di Reggio Emilia, Coop Muratori di Reggiolo e la Cesi di Imola, che ha chiuso l'attività con un buco da 375 milioni. L'ultima in ordine di tempo a dichiarare la crisi e a preparare un piano di salvataggio è stata la Coop costruzioni di Bologna che per sopravvivere ha messo in vendita il suo patrimonio. A comprare dovrebbero essere finanziarie della Lega e coop di consumo. Una maniera per dare una mano a chi è in difficoltà, ma anche la certificazione dell'incapacità di intervenire per dare una prospettiva strategica al settore.

Le difficoltà del movimento si riflettono sul controllo del cuore finanziario delle coop: Unipol.

IL TABÙ UNIPOL

La compagnia assicurativa (seconda in Italia dopo Generali, prima nel ramo danni) ha da sempre una struttura azionaria complessa, frutto della necessità di dosare gli equilibri di potere tra le coop e i vari settori della Lega. Primo socio è Finsoe, oggi con poco più del 50%. A dominare Finsoe sono i grandi supermercati (la nuova supercooperativa emiliana arriverebbe a controllare da sola oltre il 30% della scatola societaria), mentre le società del comparto costruzioni, tutte come detto con problemi più o meno gravi, sono unite in un'altra società, Holmo, che ha poco più del 20% di Finsoe. L'ipotesi ora sul tappeto è quella di sciogliere Finsoe e attribuire alle singole cooperative le quote di pertinenza, legandole in un patto di sindacato. Insieme alla conversione delle azioni privilegiate di Unipol in ordinarie, sarebbe un modo per rendere più lineare il controllo della compagnia. Ma la conseguenza sarebbe anche di rendere più autonomo il rapporto tra singole coop e gruppo assicurativo.

L'ipotesi che qualcuno possa mettere in discussione il tabù e pensare di vendere la sua quota diventerebbe più concreta.

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