Politica

Fini alza la voce col Pdl «Su legalità e sicurezza io non starò mai zitto»

In fondo è questione di numeri. Tre, due oppure uno. C’è la terzietà del presidente di Montecitorio, c’è la seconda fila del delfino-cofondatore del Pdl che quando vuole parla da numero due, e poi l’ambizione dell’uno, il progetto di una leadership futura da preparare adesso. Nel frattempo, il lodo pitagorico è stato sommariamente risolto così da Gianfranco Fini: terzo ma anche secondo, carica istituzionale, ma co-leader politico che, in quanto tale, «non sta zitto» (come titolava ieri il Secolo d’Italia). «Sarà sempre così, abituatevi», ha spiegato non a caso ieri Fini ai fedelissimi riuniti alla Camera. «Ogniqualvolta ci sarà da dire la mia su legalità e sicurezza lo farò - avrebbe annunciato al minivertice l’ex leader di An -, non mi tirerò mai indietro e dirò sempre come la penso». Il teatro è lo scontro sul ddl intercettazioni, che i finiani puntano a cambiare togliendo la norma transitoria che applica la legge anche ai procedimenti in corso e il limite di 75 giorni per le registrazioni telefoniche, ricevendo in cambio, per adesso, un secco no dal presidente dei senatori del Pdl. «Allo stato attuale non ci sono cambiamenti rispetto agli emendamenti presentati» dice Maurizio Gasparri, e questo parrebbe essere l’orientamento anche del governo, visto che il capogruppo Pdl al Senato parla così dopo una riunione con il ministro della Giustizia Angelino Alfano. I finiani la dipingono come una questione tecnica, di semplice limatura parlamentare, ma è evidente che le perplessità espresse da Fini (con una scelta di tempi discutibile vista la sovrapposizione tra la sua carica istituzionale e il lavoro del Senato che sta analizzando il ddl) rientrano perfettamente nell’antagonismo politico tra la sua corrente e la maggioranza “lealista” del Pdl. Tanto è vero che il Pd e l’Idv seguitano a lanciare messaggi all’indirizzo di Fini, e provano anche a gettare una fune: «Ora vedremo se chi ha avuto delle perplessità sul ddl intercettazioni manterrà poi una posizione coerente», ha buttato lì ieri Pier Luigi Bersani, perché «non si tratta mica di noccioline... ».
Al di là delle tattiche e delle frasi di rito, nel Pdl i finiani sembrano parlare una lingua diversa. Bocchino assicura che le obiezioni sul ddl vogliono solo «offrire una riflessione con un intento collaborativo e migliorativo del testo», ma nel partito i distinguo dei fedeli di Fini vengono vissuti come un mezzo sgambetto. «Fini ha soltanto espresso una preoccupazione, che posso assicurare è la stessa della maggioranza dei parlamentari del Pdl - spiega Andrea Augello, finiano sottosegretario alla Pubblica amministrazione -. Non possiamo correre il rischio di fare una legge male e in modo frettoloso. Piuttosto è meglio lacerarsi, se serve a migliorare il testo su cui poi verremo giudicati dagli elettori. In fondo il Parlamento si chiama così perché si discute, si litiga anche, è normale. Non è indispensabile amarsi, ma fare quadrato per affrontare insieme le burrasche che attendono questo governo. Sulle intercettazioni sono convinto che c’è ancora margine per metterci d’accordo».
Tecnicamente lo spazio di manovra c’è, perché la norma transitoria tornerà in Commissione al Senato martedì prossimo. L’aria che tira però non sembra portare a una marcia indietro nella direzione auspicata da Fini. È un altro round della partita tra leader e cofondatore del Pdl, in via di stabilizzazione ma ancora aperta. Così come lo è la questione Giulia Bongiorno, presidente in scadenza della Commissione giustizia alla Camera. Oltre a essere una finiana di ferro, è diventata il simbolo delle resistenze interne alle manovre berlusconiane sulla giustizia. Per questo si parla di un possibile cambio alla guida della delicata commissione di Montecitorio. Se così fosse, però, «non sarebbe certo un segnale di pace verso Fini, e allora...

» confida un parlamentare Pdl molto vicino all’ex leader di An, «ma speriamo di non arrivare a quel punto, sarebbe una catastrofe».

Commenti