Politica

Fini e Casini tifano per Berlusconi

Berlusconi ha rotto un silenzio televisivo che du­rava da mesi. Lo ha fatto a Matrix , con una lun­­ga intervista concessa ad Alessio Vinci. Ha spie­gato come intende ripartire (e con chi) dopo il brusco stop della scissione e la grande paura del voto di fiducia. In poche settimane il vento è cambiato di 180 gradi. Se non fosse per un incredibile pasticcio bu­rocratico combinato in Senato dalla vice presidente Rosy Mauro, il governo avrebbe potuto portare a casa già ieri sera una riforma attesa da anni, quella dell'Uni­versità. Ma soprattutto, in pochi giorni, Berlusconi ha incassato il via libera da quasi tutto lo schieramento politico e istituzionale ad andare avanti con questo governo. Prima i vescovi, poi il presidente Napolitano, nelle ultime ore Casini e addirittura Gianfranco Fini. Per tutti questa legislatura ora deve e può continuare, non c'è alternativa percorribile alla maggioranza di centrodestra. Chi si era illuso, a partire dal Pd di Bersa­ni, di usare il grimaldello Fini per scardinare il berlu­sconismo si è dovuto ricredere e ora batte in ritirata. Non ci sono i numeri in Parlamento, non c'è aria nell' elettorato sondato ogni ora in attesa di un segnale che non è arrivato. Anzi, le curve del gradimento del Pdl e quella personale di Berlusconi hanno in­­vertito la rotta e stanno cominciando a risalire. In compenso quella del Fli sta precipitando e quella del Pd non dà segni di vita. Siamo quindi al paradosso che Fini, Ca­sini e Bersani tifano Berlusconi. Sperano che ce la faccia a completare l'opera di rafforzamento della sua maggioranza e non scelga invece la strada delle elezioni anticipate, per le quali, a parte Pdl e Lega, nessuno appare pronto. Ovviamente non è amore ma una scelta imposta dai fatti. Fallito il piano Fini, ognuno cerca di riposizionarsi. Anche se non ci voleva molto a capirlo, gli uomini rimasti fedeli al presidente della Camera si rendono conto che spostarsi ancora un passo a si­nistra vorrebbe dire precipitare nel bara­tro. Casini ha lo stesso problema ma un vantaggio su Fini: per lui le porte del cen­trodestra sono aperte, se e come entrare ufficialmente nella maggioranza non è il problema centrale ma è ormai chiaro che almeno nell'immediato futuro l'Udc non farà mancare il suo aiuto. Se il controesodo dei moderati avverrà alla spicciolata o per blocchi ancora è da capire. In Parlamento si stanno attrez­zan­do gruppi cuscinetto per chi vorrà da­re il suo contributo in modo visibile al raf­forzamento della maggioranza. Il tabù che le gambe del governo potessero esse­re soltanto due ( Pdl e Lega) ormai è cadu­to. Pericolo quindi scampato? È presto per dirlo con assoluta certezza. Ma una cosa ora è chiara: o così o urne. Per que­sto il Pdl non ha spento i motori della macchina elettorale improvvisamente accesi due mesi fa. Ieri Berlusconi lo ha ribadito: stiamo per cambiare nome al partito. Il premier ha rassicurato la com­ponente ex An sul fatto che non si tornerà a Forza Italia, con tutte le implicazioni personali e politiche che questo avrebbe comportato. Il nuovo Pdl avrà un nome formato da una sola parola e resterà la casa comune così come pensata all'origi­ne. Gli strateghi da salotto e gli intellettuali illuminati che avevano già celebrato il fu­nerale del governo devono quindi rasse­gnarsi. Non è la prima volta che sbaglia­no analisi e conclusioni. Faranno finta di nulla, come al solito, ma continueranno a fare i maestrini. La loro attenzione ades­so si concentra sull'11 gennaio, giorno per il quale è attesa la sentenza della Con­sulta sul legittimo impedimento che sta bloccando i processi a Berlusconi. Ieri il premier ha detto che non teme l'appunta­mento, e che andrà avanti comunque, a costo di scendere nelle piazze, in caso di bocciatura, a spiegare agli italiani una ve­rità che farà vergognare i magistrati.

C'è da credere che lo farà.

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