Lui, Raffaele Lombardo, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa insieme al fratello Angelo, deputato nazionale del movimento per le autonomie. L’altro, Gianfranco Fini, indagato per truffa nel caso Montecarlo. Indagati ma soprattutto alleati nella giunta «Lombardo Quater». Dunque incompatibili con il credo giustizialista del Fli e del cofondatore del Pdl che per l’iscrizione sul registro degli indagati di Denis Verdini, nell’affaire P3, sollecitò il coordinatore del Pdl a lasciare immediatamente il partito. L’incompatibilità politico-giudiziaria tra il presidente della Camera e il governatore siciliano è tornata d’attualità ieri mattina quando i carabinieri del Ros, per conto della Dda di Catania, hanno letteralmente azzerato i vertici di Cosa nostra etnea.
L’operazione, denominata Iblis, ha fatto piazza pulita degli eredi del boss Nitto Santapaola portando alla luce contatti e connivenze fra i capimafia e amministratori siciliani, alcuni dei quali vicini alla giunta del governatore Lombardo: 47 arresti, sequestro di beni per 400 milioni di euro. Cinque anni di indagini culminate con l’arresto del deputato regionale del Pid, Fausto Fagone, dell’ex assessore Giuseppe Tomasello, di Paolo Sangiorgi (consigliere provinciale Udc), con le investigazioni sul deputato regionale Giovanni Cristaudo (la cui richiesta d’arresto è stata rigettata dal gip). Con le intercettazioni e gli accertamenti su Raffaele Lombardo indagato in questo troncone ma estraneo alle richieste d’arresto (paventate da Repubblica nei mesi scorsi) contenute nell’ordinanza di custodia cautelare. A tirare in ballo lui e il fratello un paio di collaboratori di giustizia - il «colletto bianco» del clan Santapaola Eugenio Sturiale e il killer catanese Maurizio Avola, autoaccusatosi di 50 omicidi - che hanno parlato di favori e voti assicurati a entrambi. Rivelazioni che hanno spaccato in due la procura: di qua chi era propenso a premere sull’acceleratore nei confronti di Lombardo, di là chi - come il procuratore D’Agata - ha agito col freno a mano tirato, poco convinto, evidentemente, dai riscontri ottenuti alle propalazioni dei pentiti.
Il presunto do ut des fra Lombardo e Cosa nostra, a sentire il procuratore capo, non è stato accertato. Al contrario, negli atti, si fa riferimento a intercettazioni dove i boss lamentano la «scomparsa» di Lombardo dopo la sua elezione. Oppure le dichiarazioni del pentito Avola che tirano pesantemente in ballo il governatore per fatti risalenti agli anni ottanta, allorché Lombardo, medico psichiatra, avrebbe incontrato nel suo rifugio segreto (una falegnameria di San Giovanni La Punta) il capomafia latitante Nitto Santapaola. Il pentito Eugenio Sturiale, invece, ha fatto presente che più recentemente al tavolo degli appalti (rifiuti e sanità) si sarebbero seduti il reggente della cosca Vincenzo Aiello e i due fratelli Lombardo, specialmente Angelo, intercettato ripetutamente negli uffici della sua segreteria politica. Riferimenti indiretti ai fratelli arrivano con l’arresto del geologo Giovanni Barbagallo, «colletto bianco» capace di fare da trait d’union tra mafia, imprenditoria e politica. Nelle carte è indicato come «militante di spicco del Mpa e quindi in contatto con il fondatore del partito, Raffaele Lombardo e suo fratello Angelo, oltre ai politici a essi collegati». È accusato di essere «uno strumento a disposizione del boss Vincenzo Aiello». Di lui parla pure il pentito Giuseppe Di Fazio, ma il suo presunto ruolo emergerebbe in relazione a summit di mafia, appalti e favori vari dove, scrive il Ros, «promette l’appoggio non tanto di Raffaele che è guardato a vista e non vuole vedere imprese» quanto con il fratello Angelo, parlamentare nazionale. Il successore di Totò Cuffaro che ad aprile disse che «la mafia non è la mia escort», oggi non parla.
gianmarco.chiocci@ilgiornale.it
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.