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Fini: «Rischio di crisi nella Ue se passerà la linea di Blair»

Sul tavolo l’annosa questione dello sconto sui contributi britannici

Antonio Signorini

da Roma

Si complica la trattativa sul bilancio Ue per gli anni 2007-2013. I negoziati di Bruxelles tra i ministri degli Esteri, che già nei giorni scorsi erano apparsi difficili, si sono arenati e non è escluso un fallimento. Ma questa volta le conseguenze potrebbero essere più gravi. Se dopo quella lussemburghese anche la presidenza di turno inglese fallirà e i 25 Paesi non si metteranno d’accordo sulla gestione delle finanze europee - ha avvertito il ministro degli Esteri Gianfranco Fini - «si dovrà prendere atto di una crisi» dell’Unione europea.
Il nodo è ancora una volta quello dello sconto britannico che consente a Londra di risparmiare 4,6 miliardi di contributi all’Ue. La proposta della presidenza del Lussemburgo prevedeva una riduzione della cifra a 2,7 miliardi, ma la Gran Bretagna ha sempre subordinato la fine dello sconto ad una contestuale rinuncia ai sussidi per l’agricoltura, particolarmente cari ai francesi. Nelle ultime riunioni dei ministri degli Esteri una ventina di Paesi hanno invitato Londra a non discostarsi troppo dalla piattaforma di Juncker, ma ieri i timori degli europei continentali si sono materializzati in una dichiarazione del ministro britannico Jack Straw. La presidenza - ha annunciato - presenterà a inizio dicembre proposte sulle prospettive finanziarie 2007-2013 che conterranno «modifiche sostanziali» rispetto alla bozza di compromesso avanzata dalla presidenza lussemburghese lo scorso luglio. Modifiche «in linea con gli obiettivi del futuro e non del passato», ha precisato Straw rafforzando l’idea di un testo molto diverso rispetto a quello sul quale era stata trovata una prima timida intesa.
«Non può esserci una soluzione che va in direzione opposta a quella auspicata dalla stragrande maggioranza», ha protestato Fini definendo «un’anomalia al quale porre rimedio» lo sconto britannico. Se la presidenza inglese si discosterà dal precedente accordo - ha sottolineato il responsabile della Farnesina - sarebbe inoltre un brutto segnale per l’opinione pubblica europea, in particolare per quella dei dieci nuovi membri dell’Ue, che erano disponibili a sacrifici pur di salvare l’intesa sulle finanze europee. Fini, così come i suoi colleghi ministri e la Commissione europea, è pessimista. «La mia impressione è che se Londra non modifica i suoi intendimenti, sarà molto difficile arrivare a un accordo a dicembre». E allora «si dovrà prendere atto di una crisi dell’Ue e non si potrà continuare a parlare di pausa di riflessione».
Fini non rinuncia a indicare un possibile piano alternativo: un «rilancio» dell’Unione che veda protagonisti Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania, Spagna e Polonia: «I sei grandi Paesi si impegnino fra loro per trovare un’intesa su come far ripartire l’Unione europea, facendola uscire dallo stallo». Un’azione comune - ha precisato Fini - «senza logiche da direttorio e senza voler chiudere la porta a nessuno».
Quello che è certo è che, anche in una situazione mutata, l’Italia non potrà rafforzare il suo impegno a favore dell’Ue. «Non possiamo accettare un aumento, neppure di un centesimo, del nostro saldo netto», è l’avvertimento del vicepremier italiano ai partner europei. Questo significa soprattutto che non ci devono essere «ulteriori riduzioni sui fondi di coesione per il Mezzogiorno italiano».
Sulla stessa linea di Fini la maggioranza degli altri governi europei, tranne Olanda e Svezia, che vorrebbero anche loro degli sconti simili a quello inglese.

Pessimista e critico il presidente della Commissione José Manuel Barroso: «Non credo sia credibile andare avanti con i nuovi negoziati d'adesione se non siamo in grado neanche di finanziare l’attuale Unione allargata».

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