RomaGianfranco Fini traccia il bilancio della tre giorni congressuale che ha sancito la nascita del Pdl. E seppure in privato, impegnato in Sicilia a chiudere lanno accademico del Parlamento della legalità, non può che dirsi soddisfatto. Certo, sarebbe stato il massimo se nel suo intervento di domenica Silvio Berlusconi avesse concesso qualcosa alle tre questioni sollevate sabato dal presidente della Camera (immigrazione, testamento biologico e referendum elettorale). Ma già il fatto che non le abbia avversate, ragionano tutti i dirigenti di An più vicini a Fini, è un segnale importante. Perché - lo scriveva ieri il webmagazine di Farefuturo, fondazione presieduta proprio da Fini - con il Pdl è nato «un partito che non è proprietà privata di nessuno» e che «non vive nella paura di disturbare il manovratore». Parole che sono un segnale tangibile di come lo stesso presidente della Camera abbia letto lintervento del Cavaliere come unapertura implicita. Anche perché - spiega Benedetto Della Vedova, riformista azzurro molto vicino alle posizioni di Fini - se Berlusconi «avesse voluto metterlo in un angolo avrebbe usato altri toni e altri argomenti». Non è un caso, dunque, che proprio Farefuturo - ancora in tempi recenti niente affatto tenera con il premier - definisca il Pdl un partito «capace di dividersi nelle analisi e nelle proposte», che «sa discutere e sa far nascere nuovi leader e nuovi punti di riferimento». In due parole, «un partito vero». Daltra parte, spiegava Paolo Bonaiuti nei giorni del congresso, «da oggi dovrà cambiare approccio» se davvero si vuole puntare al 51%. Nel senso che in un partito con simili aspettative «non possono non convivere idee e posizioni diverse sulle quali di volta in volta confrontarsi».
Ma al di là delle chiose al discorso del Cavaliere e ai ragionamenti sul perché abbia preferito glissare su alcuni passaggi chiave dellintervento di Fini, il senso della tre giorni congressuale della Nuova Fiera di Roma è ben altro. Tanto che è lo stesso presidente della Camera a chiudere qualunque spiraglio polemico. «Non sempre - spiega Fini - le risposte si danno il giorno dopo, soprattutto su questioni così importanti e destinate a durare nel tempo». Appunto, la questione è ben altra. E non può essere certo Fini a sollevarla. Nonostante le briglie della carica istituzionale, infatti, per il leader di An il primo congresso del Pdl ha significato la consacrazione a numero due del partito. Con buona pace dei tanti pretendenti, veri o presunti, per capacità o per rapporti preferenziali con questo o quellalleato.
Una consacrazione politica, perché non entrando nel merito dei passaggi più delicati Berlusconi ha di fatto riconosciuto dignità alle posizioni di Fini, nonostante la base del partito la pensi probabilmente in maniera diversa (soprattutto su immigrazione e testamento biologico). Ma questo il presidente della Camera lo mette in conto, tanto da parlarne apertamente. «So bene che allinterno del Pdl - spiega Fini - ci sono delle opinioni dissimili e delle sfumature di valutazione su alcune questioni che ho sollevato al congresso». Ma la consacrazione è pure iconografica, perché listantanea che resta è quella di Berlusconi e Fini abbracciati sul palco a celebrare la nascita del nuovo partito. Che poi, se non bastasse, va di pari passo con lo spazio e gli applausi che la platea della Nuova Fiera di Roma hanno riservato al leader di An rispetto a tutti gli altri big.
Il tutto corredato da un elemento di non poco conto, visto che sono anche esponenti di rango di Forza Italia - ministri compresi - ad attribuire a Fini un vero e proprio «passaggio di status». Con una chiave decisiva, che è quella di essersi posto implicitamente come argine allavanzata della Lega. Un problema, quello del Carroccio, che cova da mesi nelle segrete stanze dei capigruppo del Pdl, tanto che già prima di Natale Osvaldo Napoli - vicepresidente dei deputati - non aveva esitato a dirsi «stufo» delle continue richieste della Lega. È anche per questa ragione che gli applausi incassati da Fini sono stati sinceri. Perché quella della competizione con il Carroccio, per quanto «leale», è tema allordine del giorno da tempo. In An, ma anche in Forza Italia. Al Sud, ma anche al Nord. Perché se da mesi il pugliese Raffaele Fitto fa argine con discrezione alla Lega sul federalismo fiscale e sulle questioni inerenti alla devoluzione, pure il veneto Maurizio Sacconi in privato non nasconde le sue perplessità sul rischio che il governo appaia troppo schiacciato su Bossi e compagni.
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