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Fini: Veltroni farà cadere Prodi

Il presidente di Alleanza nazionale: "Può pensare lui di staccargli la spina. Nessun ostruzionismo sulla Finanziaria. Sul patto per il welfare qualcuno nel governo perderà la faccia"

Fini: Veltroni farà cadere Prodi

da Milano

L’uomo in cui confida Gianfranco Fini è un avversario: si chiama Walter Veltroni. È il candidato segretario del Pd ad avere tutto l’interesse ad andare prima possibile al voto. «Veltroni penserà che tutto sommato staccare la spina non è la soluzione peggiore», ragiona il presidente di An alla Festa Tricolore di Milano, rispondendo alle domande di Giulio Anselmi. «Se resta appiattito sulle posizioni di Prodi per dodici o diciotto mesi, alla fine ne uscirà consumato come è accaduto a Francesco Rutelli. E se Veltroni batte i pugni, il governo è già finito». L’idea di un governo tecnico è liquidata come una specie di eresia: «Più che di decantazione sarebbe un governo di decomposizione. Cambiare la legge elettorale è solo un alibi». La soluzione è una e una sola: «Prima staccano la spina a questo governo e meglio è. È un esecutivo di restauratori». Pur di mandarli a casa, annuncia che An non farà barricate sulla Finanziaria, rischiando che a saltarci sopra sia proprio Prodi: «Presenteremo al massimo dieci emendamenti, così non avranno alcun pretesto per mettere la fiducia. Spero che gli alleati facciano altrettanto».
Sia pure con qualche prudenza in più, anche Fini segue Berlusconi nella speranza di elezioni nel 2008. Nessuna stampella al centrosinistra né gioco di sponda con Luca Cordero di Montezemolo che invita al dialogo proprio sulla legge elettorale. «Basta cambiare un aggettivo sul premio di maggioranza al Senato e si può andare alle urne subito» ripete Fini, in sintonia con il Cavaliere. I motivi di ottimismo sono il referendum su cui il presidente di An punta da sempre («altro che quorum, andrà a votare il 90 per cento degli elettori») e la convinzione che il centrosinistra imploderà nello scontro tra Prodi e Veltroni. Conflitti di potere tra leader. È Veltroni e la sua voglia di leadership la variabile che può far impazzire la maggioranza. Se fosse per le contrapposizioni continue e gli equilibri di governo «possono cadere da un momento all’altro o rimanere lì all’infinito, perché se non hai dignità un compromesso lo trovi sempre». Persino su passaggi delicatissimi come la Finanziaria e il protocollo sul welfare: «Può essere l’ora della verità oppure l’ora in cui qualcuno perderà la faccia. Io propendo per la seconda ipotesi».
La sinistra, secondo Fini, non ha credibilità né coerenza anche nel rapporto tra politica e giustizia, come testimonia il caso Santoro. «Su questi temi ci dovrebbe essere più senso del pudore o, se ce l’hanno ancora, di vergogna». La ragione è semplice: «Quando Santoro metteva alla gogna Previti e Berlusconi, era una garanzia di libertà. Oggi coloro che lo difendevano lo contestano. Ma la gente non ha l’anello al naso». Critica la maggioranza anche sul tema della legalità («la responsabilità è personale, non sociale») e rilancia la linea dell’accoglienza rigorosa nei rapporti con i rom e con l’Islam. «I rom, anche se cittadini comunitari, possono essere espulsi perché il loro comportamento è palesemente contrario a qualsiasi integrazione. I campi rom sono possibili solo se transitori». Quanto ai musulmani «hanno tutto il diritto di pregare Allah ma nelle moschee devono predicare in italiano».
Fini dice di capire le ragioni dell’«antipolitica» e non sottovaluta l’allarme: «C’è una situazione di insofferenza ancora peggiore che nel 1992. E questo anche se la corruzione è meno diffusa di allora». L’analisi lo accomuna quasi a Grillo. È sulle soluzioni, quelle che lui definisce «terapie», che si aprono abissi, un ondeggiamento verso l’Italia dei valori e qualche presa di distanza anche da Berlusconi, che ieri ha festeggiato e spinto i Circoli della libertà. Il leader di An pensa a soluzioni molto più tradizionali, tanto da riproporre la legge per riconoscere la natura giuridica dei partiti («per questo mi sono detto d’accordo con Di Pietro»), un tentativo di dettare regole all’interno dei partiti che già esistono invece di inventare qualcosa di nuovo.

Ecco perché gli piacciono le primarie del Pd: «Non sono uno di quelli che le ridicolizza, le ritengo un fatto di democrazia».

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