Finisce l’era del camice bianco I medici: "Inutile e pericoloso"

La proposta di abbandonarlo avanzata durante un convegno americano: trasmette batteri e infezioni. Ma molti si ribellano: è la nostra identità

Finisce l’era del camice bianco 
I medici: "Inutile e pericoloso"

Non è il simbolo del mestiere: è un veicolo di germi. Batteri insidiosi che si nascondono su quel camice bianco, ma pulito solo all’apparenza. Il camice del dottore, il suo abito, il suo segno di riconoscimento è da guardare con sospetto, anzi meglio ancora sarebbe appenderlo all’attaccapanni e tenerlo solo come un vecchio ricordo: lo dicono i numeri, lo dicono studi e perfino i medici, cioè i diretti interessati.

Tutto è cominciato, in America, con un’indagine del Comitato per la scienza e la salute pubblica che ha l’obiettivo di stabilire quanto gli abiti siano colpevoli nella trasmissione di batteri e altri microbi. I risultati saranno pronti solo l’anno prossimo ma, in attesa di una parola definitiva, i dottori hanno già cominciato a discutere la possibilità di abbandonare il loro simbolo più celebre. Tanto che a giugno, al convegno annuale dell’Associazione medica americana è stata avanzata la proposta rivoluzionaria: aboliamo la veste bianca.
Il promotore è uno studente alla Scuola di salute pubblica di Yale, che ha spiegato al New York Times le sue ragioni: «Indossare il camice bianco non aiuta in alcun modo la salute del paziente». E poi: «Se le mie mani si spostano da un paziente all’altro, così fa anche la manica: perciò la probabilità di trasmettere germi è alta». Uno scenario esagerato, l’ennesimo eccesso di igienismo? O un inconveniente realistico, un ostacolo alla sicurezza che si può eliminare con un gesto?

Il dibattito fra i medici è aperto: non è facile, per loro, rinunciare alla divisa. Il camice bianco è il loro totem, l’uniforme di chi, dopo anni di studi, è riuscito a diventare colui di cui tutti, prima o poi hanno bisogno: riferimento, autorità, sostegno, serietà. Il camice è identità, non soltanto un gallone o una vanità.

Appendere l’abito al muro significa staccarsi un pezzo di vita, di lavoro, di storia: è sovvertire la tradizione, scombussolare i ruoli, cancellare un punto fermo, anche per i pazienti. Una ricerca pubblicata sul Postgraduate Medical Journal ha scoperto che il 56 per cento dei malati pensa che il medico debba indossare il camice. Per gli studenti di medicina, poi, è un simbolo assoluto: il 94 per cento ha confessato che l’assegnazione del camice è un rito, una cerimonia solenne che segna l’ingresso nel mondo dei dottori veri. Dagli esordi a fine Ottocento il copriabito è diventato quello che gli stessi medici speravano: un segno di professionalità, precisione, pulizia, un sinonimo di rispetto e rispettabilità. Perciò è bianco come la neve: senza macchia, garanzia di purezza morale e materiale, della persona e del suo lavoro. Eppure non tutti sono d’accordo. Prima dello studente di Yale, altri hanno pensato di controllare la pulizia dei dottori. Uno studio condotto fra i medici di New York nel 2004 ha rivelato che metà delle loro cravatte era infestata da almeno una specie di microbi infettivi. Gli anglosassoni non prendono la questione sotto gamba: il sistema sanitario nazionale britannico ha adottato un «codice anti batteri» che prevede il divieto assoluto a unghie lunghe, cravatte, anelli, gioielli e camici. Oltre alla componente igiene, poi, c’è un altro aspetto che turba i dottori e potrebbe essere ancora più determinante nella scelta di abbandonare il copriabito: a quanto pare molti pazienti lo associano all’ansia più che all’autorità. Avrebbe un effetto controproducente, tanto da causare una sindrome precisa, un nervosismo irrefrenabile alla sola vista del medico. Alcuni, per evitare di minacciare i pazienti, preferiscono riceverli coi propri abiti.

Meno asettici, più quotidiani. Ma pur sempre abiti: non si sporcheranno anche quelli? E così qualcuno inizia a chiedersi se, per evitare i germi, non sia il caso di visitare nudi. Ma poi sicuramente ci sarebbero subito altre polemiche.

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