Finite le primarie per il Professore cominciano i guai

Arturo Diaconale

Passata l’euforia da sbornia per i quattro milioni di partecipanti alle primarie, il centrosinistra ripiomba nella realtà. Che non è fatta da dose massicce di autocompiacimenti all'insegna della voglia unità espressa dalla base. È, al contrario, composta dalla conferma che le divisioni tra le diverse componenti dello schieramento dell'opposizione non solo sono innumerevoli ma anche inconciliabili.
Romano Prodi ha ricevuto quell'investitura popolare di cui aveva assolutamente bisogno per non diventare succube e schiavo dei molteplici partiti dell'Unione. Ma adesso incomincia a rendersi conto che il prezzo pagato a questa sua esigenza personale è fin troppo salato. Ds e Margherita sono pronti a concordare qualsiasi marchingegno utile ad utilizzare al meglio la nuova legge elettorale proporzionale. Come, ad esempio, l'idea lanciata da Francesco Rutelli, di formare una lista comune Ds-Margherita alla Camera e di andare con liste separate al Senato. Ma quando si tratta di affrontare la proposta di rispondere alla richiesta di unità dei militanti con la creazione di un Partito democratico in cui ogni forza si riconosca annullando le vecchie identità del passato, le vecchie lacerazioni di un tempo rispuntano. Il «correntone» dei Ds, nelle due articolazioni guidate rispettivamente da Fabio Mussi e Cesare Salvi, rivendica l’antica «diversità» berlingueriana lasciando intendere che non intende in alcun modo «morire democristiano». Al tempo stesso Massimo D'Alema getta acqua sul fuoco sopra gli entusiasmi per il partito democratico lasciando intendere che i Ds non rinunceranno mai alla propria tradizione di componenti del movimento socialista. E il segretario Piero Fassino chiude definitivamente la questione ribadendo che i diessini non prendono neppure in considerazione l'ipotesi di uscire dal Partito socialista europeo e dall'Internazionale socialista per dare vita al Partito democratico all'italiana indicato da Rutelli.
Sul versante opposto, cioè quello della Margherita, le resistenze appaiono formalmente minori. L’unico che boccia il progetto della formazione unitaria in maniera esplicita è Gerardo Bianco. Gli altri, a cominciare da Ciriaco De Mita, annuiscono furbescamente. Ma solo perché sono convinti che Rutelli abbia preso in contropiede i Ds con un progetto di cui non condivide una virgola. E lo abbia fatto per costringere i vari Mussi, Salvi, D'Alema e Fassino a fare il lavoro sporco che lui non vuole compiere e ad assumersi la responsabilità di far abortire l'idea del partito unitario.
A pochi giorni dalla trionfale investitura delle primarie, quindi, Prodi deve tristemente registrare che era meglio quando si trovava peggio. Ha conquistato la leadership, ma si ritrova con la rinnovata conflittualità tra Ds e la Margherita, l'insoddisfazione di Fausto Bertinotti per il modesto risultato ottenuto dalla sinistra antagonista nella consultazione popolare, l'uscita di Clemente Mastella dall'Unione ed il suo passaggio da socio ad alleato, l'intenzione di Enrico Boselli di trovare una intesa con i radicali anche a dispetto delle volontà e degli interessi del resto del centrosinistra.
Se non bastasse questo scenario, infine, c'è un altro dato che dovrebbe turbare i sonni del «Professore». Le primarie hanno confermato in maniera fin troppo palese che oltre l'ottanta per cento dei militanti di base del centrosinistra è vicina o ha addirittura superato l'età della pensione. Il nocciolo duro della sinistra è formato da ultracinquantenni.

I giovani, anche quelli che avevano invaso le piazze in nome della pace, hanno disertato le urne delle primarie. E se la «vecchia guardia» è formata da anziani, il futuro si presenta decisamente incerto per il leader dei vecchietti combattenti e reduci del ’68!

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