Flick, il «tecnico» di Ciampi che faceva politica per Prodi

MilanoDue cannocchiali diversi per scrutare lo stesso cielo. Diceva ieri al Corriere della sera il presidente emerito Carlo Azeglio Ciampi: «Per le nomine alla Consulta ho scelto ispirandomi ai criteri della competenza». Ed ecco che in cima a quella lista di giudici tecnici «nessuno dei quali aveva mai fatto politica attiva», Ciampi piazza Giovanni Maria Flick. Ma se osserviamo il firmamento della Consulta con gli occhi di Gaetano Pecorella, vediamo un’altra realtà: «Quasi tutte le leggi che la Corte potrà esaminare - affermava in epoca non sospetta Pecorella, il 15 febbraio 2000 - sono state proposte da Flick come ministro della Giustizia del governo Prodi. È discutibile la scelta di mandare alla Corte costituzionale un ex ministro dell’attuale maggioranza».
Ecco il punto: i giudici cosiddetti tecnici, nominati solo seguendo il criterio del merito e della chiara fama, equidistanti dall’agone politico lo sono veramente? Flick, che fu il primo giudice «chiamato» da Ciampi, ha lasciato la Consulta a febbraio e non ha partecipato al voto sul Lodo Alfano. Ma la sua storia è un paradigma di quell’Italia neutrale che però neutrale non può essere per la semplice ragione che è di parte.
Per carità, Flick è uno stimatissimo professore universitario e anche un avvocato dalle parcelle miliardarie, uno studioso eminente, e poi ha un’abilità straordinaria nello smussare, sminuire, diluire, annacquare, mediare, comporre. Però resta un uomo di parte, anche se non etichettabile. Marcato dalla sua appartenenza all’area della sinistra. Naturalmente, non misurabile col metro della militanza in questo o quel partito. Ma Flick è qualcosa di più: una delle teste d’uovo che ha costruito nel ’96 il programma dell’Ulivo sulla giustizia e dal ’96 al ’98 è stato il ministro della Giustizia del governo Prodi. Dunque, ci si deve intendere quando si dice che «non ha fatto politica attiva».
Anzi, se si va a spulciare il Corriere della sera del 28 febbraio ’98 si legge che Flick ha rivendicato «le sue prerogative di ministro politico, non solo tecnico». E allora, di cosa stiamo parlando? Infatti, dalla cabina di regia di via Arenula il Guardasigilli ulivista prova a srotolare, con alterne fortune, il suo ambizioso programma. Programma forte, corposo, solo apparentemente tecnico: giudice unico, depenalizzazione, giudice di pace, nuova legge sui collaboratori. Qualcosa, per esempio la rivoluzione del giudice unico ottenuta abolendo le preture, viene realizzato, altro arriverà dopo, altro ancora si è incagliato.
Difficile comunque scolorire la figura di un professore che ha segnato per due anni la stagione dell’Ulivo e del governo Prodi, sporcandosi le mani con le questioni di tutti i giorni e incidendo nella gestione della giustizia.
Insomma, Flick non è lo studioso appartato che scrive tomi ponderosi e frequenta silenziose biblioteche e polverosi archivi. O si vuol sostenere la tesi, ardita, assai ardita, che è un giudizio solo tecnico e fuori dal tempo quello del professore dall’aria cogitabonda, la barba e la pipa, che afferma: «Mani pulite è stato un grandissimo evento»?
Ci vuole coraggio a catalogare come apolitica la scelta di Flick nel ’97 quando prende posizione, una posizione poi come al solito ridimensionata e attenuata, a favore della tesi dei magistrati di Milano. Le toghe ambrosiane sono contrarie, contrarissime alla modifica dell’articolo 513 del Codice di procedura penale. E vaticinano sfracelli, innalzano geremiadi sulla morte della legalità, intravedono un futuro nerissimo per il Paese. Tutto per colpa del 513. Attenzione: prima della riscrittura del 513, il contraddittorio in aula era monco. Il 513 non è solo un numero ma uno spartiacque di civiltà. E infatti quando Flick puntella il muro del Pool, si becca critiche non proprio tecniche. Da destra e da sinistra. Da sinistra Cesare Salvi lo affonda con parole urticanti: «Il ministro non può mettersi contro la maggioranza, soprattutto avvalorando la tesi infondata secondo la quale avremmo dato con questa legge un colpo di spugna». Che infatti non ci sarà. Da destra ecco la stoccata caustica di Alfredo Biondi: «Un ministro della Giustizia come Flick, che non muove foglia che il Pool non voglia: questa è l’amara realtà». Pare di essere dalle parti del Lodo Alfano, siamo nel 1997. Dodici anni fa. E siamo nel fuoco incrociato della vita parlamentare, non nel conclave rarefatto della Consulta, dove il vestito buono per la politica sarebbe stato confezionato con la stoffa del miglior giuridichese.


Pende a sinistra Flick e pende ancora di più dalla parte dei giudici. Ma ha anche l’orecchio attento a cogliere la voce schiumante della piazza. Quando una sentenza libera Erich Priebke, il ministro Flick s’inventa un riarresto provvisorio che fa ancora discutere i suoi dotti colleghi.

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