Economia

Fmi, aumenta il peso della Cina

Dopo 60 anni il Fondo si rinnova e modifica il potere decisionale dei Paesi membri

da Milano

Alla fine anche i più poveri conteranno di più, ma per ora solo economie solide come quella della Cina avranno più peso nelle decisioni del Fondo monetario internazionale. Ieri è stata infatti approvata con oltre il 90% dei voti (90,6%) la riforma presentata dal direttore generale Rodrigo de Rato, con il sostegno del G7, che consente da subito il riallineamento delle quote appunto per Cina, Messico, Corea del Sud e Turchia.
Dopo le accuse di anacronismo nella rappresentanza e le critiche su come ha cercato di risolvere la crisi economica in Asia a fine anni Novanta e in Argentina all’inizio del nuovo secolo, con la riforma della propria governance il Fmi tenta insomma di dare risposte più “democratiche”. Una riforma che non soddisfa i più diretti interessati, cioè i Paesi in via di sviluppo. A detta soprattutto dei Paesi dell’America Latina, il progetto non consentirà un’equa ridistribuzione del potere nell’organizzazione.
Siccome l’economia degli Stati non può essere ricondotta soltanto alla performance del Pil, il nuovo meccanismo previsto dal Fmi prevede di dare in qualche modo voce anche ai Paesi poveri con un rafforzamento dei basic votes, quelli attribuiti a ciascun Paese, indipendentemente dal proprio peso economico. La riforma riallinea subito le quote di Cina, Corea, Messico e Turchia, che quindi conteranno di più. Entro due anni, saranno ricalcolate le quote e si procederà agli ulteriori aggiustamenti che si riterranno necessari.
È proprio la seconda tappa quella che al momento ha creato più insoddisfazione. Le proposte di revisione sono al momento divergenti: gli Stati Uniti propendono di impostare il calcolo sul Pil, mentre l’Europa tende a porre l’accento più sull’apertura dei mercati (diversamente, a perdere di più sarebbero proprio i piccoli Paesi europei, come Belgio, Paesi Bassi o Svezia, che attualmente contano più di Cina, Brasile o India). Insoddisfatti del piano di riforma anche gli organismi non governativi come Oxfam, che lo definiscono «poco più di un lifting», perché al termine del percorso ipotizzato i Paesi poveri vedranno solo stabilizzare il proprio peso. Per essi, infatti, è solo prevista la possibilità, durante i prossimi due anni, di raddoppiare i propri basic votes, quelli attribuiti a ciascun Paese, indipendentemente dal peso economico.

E di ottenere qualche posto in più da amministratori aggiunti.

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