Armida Bordi
Si struggeva gorgheggiando «I left my heart in San Francisco» (Ho lasciato il mio cuore a San Francisco) old blue eyes Sinatra ricordando le dolci colline attorno alla baia e migliaia di citazioni celebrano la città californiana. Alcune sono decisamente comiche come quella di Mark Twain, secondo il quale il suo inverno più freddo era stata un'estate trascorsa a San Francisco, altre puntano decisamente all'iperbole.
Sta di fatto che questa città, amatissima da tutti gli americani, proprio non teme confronti. E non è solo la bellezza a renderla unica. Anche la sua storia ne fa un luogo dalle mille suggestioni.
Prima della corsa all'oro San Francisco (che prende il nome da una chiesa fondata da frati spagnoli e dedicata a San Francesco di Assisi) era un sonnacchioso villaggio di trecento abitanti che nel 1849, in pochi mesi, salirono a oltre venticinquemila. E non erano certo stinchi di santo. Truffatori, biscazzieri, ladri, assassini e prostitute prosperarono in quegli anni alle spalle degli illusi che sognavano di diventare ricchi come Creso setacciando le sabbie aurifere o scavando nei fianchi delle colline. Pochi si arricchirono con l'oro, molti buttarono via la loro esistenza nelle bische, nelle fumerie d'oppio e nei bordelli, altri fiutarono il momento propizio e posero le basi di futuri imperi industriali, come Levi Strauss, il padre dei jeans e Domingo Ghirardelli, il padre della cioccolata più famosa d'America.
Era appena finita la febbre dell'oro quando cominciarono ad arrivare a San Francisco gli italiani. Parecchi venivano dal sud, ma i primi erano liguri, soprattutto genovesi. Erano attratti da un clima non troppo diverso da quello che si lasciavano alle spalle e da una città il cui porto offriva concrete occasioni di lavoro. Si stabilirono a North Beach, gomito a gomito con la comunità cinese di Chinatown. Era allora un quartiere di poveri immigrati ma sorgeva in una zona collinare da cui si vedeva il porto e si dominava l'intera spettacolare baia.
Come si presenta North Beach un secolo e mezzo dopo?
L'impronta genovese è ancora ben viva anche se molte famiglie che ormai fanno parte della borghesia «arrivata» si sono trasferite nelle zone residenziali di pregio nei dintorni della città. Ma sono rimasti in molti, sempre a stretto contatto con i vicini cinesi. Gravitano intorno alla via principale, quella Columbus Avenue che taglia in diagonale il quartiere e che è indicata sulle targhe stradali anche come «Corso Cristoforo Colombo». Vi si succedono caffè e ristoranti che mescolano la cultura gastronomica italiana e quella americana promettendo «hot focaccia» o cercando un cameriere con «barista experience» e proponendo tutti i più improbabili tipi di cappuccino. Qui la ricerca di cibi liguri è fruttuosa: pesto, acciughe in salamoia, olive e olio della nostra riviera, formaggi, pane e grissini non mancano. C'è poi la Liguria Bakery, dove la focaccia è ottima e il trattamento cliente pessimo.
Aleggia sulla Columbus Avenue il ricordo di Amadeo P. Giannini (anche lui di famiglia ligure, originaria di Favale di Malvaro) che in un saloon di questa strada diede vita a quella Bank of Italy che in pochi anni doveva divenire la più importante del mondo con il nome di Bank of America.
C'è anche Genoa Street: un solo isolato inerpicato sulla Telegraph Hill, a un tiro di schioppo dalla Coit Tower, uno dei luoghi più caratteristici della città, visibile a miglia e miglia di distanza, con il singolare monumento a forma di idrante che sovrasta la statua di Colombo.
Ma dove Genova appare in grande spolvero è nella chiesa salesiana di St Peter and Paul in Washington Square. L'edificio non è quel che si dice una bellezza dal momento che assomiglia in modo inquietante ad una torta alla panna ma si apre su un gradevole spazio verde che fa da sfondo ai molti happening legati alla parrocchia. Sui suoi gradini si fecero fotografare nel 1954 i novelli sposi Marilyn Monroe e Joe DiMaggio, il cui matrimonio era però stato celebrato civilmente altrove.
All'interno della chiesa c'è una cappella con la statua della Madonna della Guardia. Una spiegazione bilingue della miracolosa apparizione ci informa che la devozione alla vergine è qui di vecchia data, dal momento che la fondazione della Società della Madonna della Guardia risale al 1919 e che ogni mese, il giorno 29, si celebra una messa in suo onore.
Un'occhiata intorno conferma che la parrocchia è ancora il fulcro attorno a cui ruotano le vite di molti nostri conterranei. Negli elenchi dei benefattori e dei collaboratori abbondano i Raggio, i Garaventa, i Balestrero, i Sanguinetti, sia pure mescolati con i Chow, i Lin e i Wong a riprova del carattere multietnico della zona. E infatti le Messe festive si celebrano in inglese, cinese e italiano. Poi, chicca quanto mai rara, c'è una messa in latino la prima domenica di ogni mese.
A ottobre, in occasione del Columbus Day, North Beach vive il suo momento di gloria: da Fisherman's Wharf, l'antico porto peschereccio oggi primaria zona turistica, parte una immensa parata che celebra al tempo stesso la scoperta dell'America, con tanto di Colombo e di Isabella di Castiglia, e l' «Italian Heritage», ovvero l'eredità culturale italiana. Carri coperti di fiori e con bellezze locali a bordo sfilano per ore lungo le strade del quartiere accompagnati da fanfare e sventolii di bandiere italiane e americane. I Vip italo-americani partecipano come ospiti d'onore e così le delegazioni delle nostre regioni e delle nostre città. Per questo, accanto alla tarantella, non è infrequente sentire il ben noto trallallero.
Poi quando la sfilata termina alla chiesa di St Peter and Paul, è il momento della messa, seguita da un Italian dinner con pasta al pomodoro o al pesto e, perché no, da un po' di gioco d'azzardo con inoffensive slot-machines nelle sale della parrocchia.
Si celebra Colombo, si prega davanti alla statua della Madonna della Guardia, si mangia pasta al pesto, si parla in italiano o in dialetto genovese, felici di ritrovarsi tra conterranei. Orgogliosi di essere diventati americani senza aver smesso di essere liguri.
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