Lo dice la parola stessa: è il giorno del ricordo. Sarebbe umano e giusto ricordare anche questo: migliaia di anonimi italiani, sgraditi ai disegni di Tito, buttati nell'abisso delle grotte carsiche, chiamate foibe. Tutto in poche settimane, dal primo maggio a metà giugno 1945. Italiani dissolti nel nulla. Spariti dall'anagrafe, spariti dalla storia.
Proprio così, è sempre importante ricordare: perché le nuove generazioni sappiano, perché non ci sia più nessuno che si lasci tentare nuovamente da strane idee. Il problema sorge quando la memoria difetta a chi la memoria dovrebbe custodire e magari stimolare. Agli storici. È un problema in cui mi sono imbattuto in questi giorni, quando mio figlio di tredici anni mi ha chiesto qualcosa sull'argomento. Come faccio sempre, mi sono limitato a un'esposizione sommaria: cosa sono le foibe, dove sono, che cosa è successo, salvo invitarlo subito a precisare meglio sul suo libro di storia.
Mio figlio frequenta la terza media di una scuola statale piuttosto seria. Ha libri di testo ritenuti ugualmente seri. L'altro pomeriggio mi si è ripresentato davanti con il libro di storia. Papà, mi ha detto sfogliando, qui non c'è niente delle foibe. Come, niente. Mi è sembrato impossibile. Non c'era nulla sui testi della mia epoca, trenta o quarant'anni fa, e so pure perché. Ma ormai delle foibe si è ricominciato a parlare da diversi anni, anche le edizioni più lente e più pigre hanno avuto tutto il tempo per colmare il vuoto. Lo confesso: ho subito dubitato di mio figlio. Non hai visto, siete troppo superficiali, non avete metodo nello studio: le solite paternali che partono in automatico dai pulpiti adulti. Lui, con garbo, mi ha passato il libro: prova tu, cerca.
Non facciamola troppo lunga: sul libro le foibe non compaiono. Sparite nel nulla, come i cadaveri che hanno risucchiato sessant'anni fa.
Vogliamo parlare di dimenticanza? Per favore, non scherziamo. Se di semplice distrazione si trattasse, sarebbe pure peggio. Gli autori di questo libro - prodotto da un editore come Bruno Mondadori, non da un cioccolataio qualunque - sono addirittura tre. Non voglio neanche pensare che soffrano tutti e tre di amnesie: sarebbe tremendo, anzi diciamo pure un po' grottesco, per gente che campa sulla memoria.
Che cosa, allora? Perché, allora? Se sulle stesse pagine è già possibile trovare le prime ricostruzioni e le prime spiegazioni dell'11 settembre, della mondializzazione e del trattato di Maastricht, non posso certamente concludere che agli autori sia mancato il tempo per aggiornare il lavoro. Guardando le diciture di retrocopertina, il volume risulta chiuso nel 2005. Cioè in un'epoca comunque segnata dal dibattito sulle foibe. I tre autori possono essere anche corti di memoria, ma non credo siano pure tutti e tre sordi.
È persino inutile aggiungere che ulteriori ricerche su altri volumi hanno dato analoghi, avvilenti risultati. Difficilissimo trovare le foibe sui testi delle nostre scuole. Pittoresco: vorremmo che le future generazioni non dimenticassero un avvenimento che neppure trovano sui libri di storia. Ovviamente non è la prima volta che si discute su certe stranissime lacune, su certe omissioni sospette, su certi buchi neri dei nostri testi scolastici. Come ha scritto il vecchio Tolstoj, la storia la scrivono sempre i vincitori. Purtroppo, è risaputo: certi storici e certe case editrici temono di inserire certi argomenti nei loro libri, perché questo può comportare l'ostracismo di tanti professori che scelgono il testo. Nella scuola italiana è facile trovare libri o dispense che parlino della pena di morte negli Stati Uniti. È difficile però trovarne che parlino delle 25mila esecuzioni negli ultimi anni in Cina. Non sono amnesie: sono scelte. Di opportunismo.
Almeno sulle foibe sarebbe però il caso di piantarla, con i pudori e le reticenze. Quale Italia andiamo a costruire, se ancora portiamo nelle nostre aule questi tabù culturali, questi pregiudizi ideologici, queste censure preventive e conformiste? La grandezza di una scuola si misura dalla sua capacità di aprirsi, di sbarazzarsi degli opportunismi e delle convenienze, di puntare ad una reale onestà intellettuale. Se cominciamo proprio lì a strumentalizzare, a occultare e a mistificare, come possiamo sperare che gli italiani di domani siano un po' migliori di noi, irrimediabilmente piagati da troppe stagioni di faziosità e di ideologia? Avanti con questo metodo, che considera Stalin un po' più amabile di Hitler, che ritiene i fumi della Cina un po' più profumati di quelli americani, che dimentica - ops - quei tre, cinque, diecimila italiani buttati mezzi vivi nelle foibe, non usciremo mai dalla meschinità dei nostri orizzonti culturali. Poi non stupiamoci se un intellettuale onesto come Giampaolo Pansa dove farsi scortare dalla Polizia per presentare i suoi onestissimi libri...
Ho detto a mio figlio: quando si ricorda, bisogna avere l'accortezza di non dimenticare nessuno. Ci sono morti per una causa giusta e morti per una causa sbagliata. Istintivamente, mi spiace sempre di più per quelli che stanno dalla parte della libertà e della giustizia.
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