Nicola Porro
da Milano
Avete fatto la prima grande e vera banca europea, Unicredit-Hvb. Vale 45 miliardi di euro e ve la stanno scalando?
«Assolutamente no - dice Fabrizio Palenzona, vicepresidente di Unicredit e membro del comitato esecutivo di Mediobanca - Stanno rientrando massicciamente quegli investitori istituzionali che erano fuori».
Una banca di queste dimensioni, senza un socio forte. Avete pensato a un patto che leghi i diversi azionisti?
«Spetta ai soci decidere. Quello che posso dire è che l’insieme dei principali azionisti raccoglie meno del 30 per cento del capitale. Un patto è dunque possibile».
Come mai proprio i tedeschi di Hvb?
«È da quando è formalmente nata Unicredit nel gennaio del 1999 che si è parlato di possibili aggregazioni. Si è provato prima in Italia: Comit, San Paolo e Bnl erano nella lista dei desideri. E poi ci si è rivolti fuori. Abbiamo provato con Commerzbank. Ora forse sono cambiate le condizioni. Ci siamo felicemente riusciti con Hvb».
Le quattro Fondazioni di Unicredit sono apparse sin dal primo momento disponibili a ridurre la propria quota di capitale in banca. Non tutte le Fondazioni bancarie hanno avuto questo approccio al mercato...
«Sono Enti da cui provengo, e che ho lasciato cinque anni fa. Le difendo oggi come ieri, quando erano attaccate scioccamente, per il loro ruolo di stabilizzazione nell’economia italiana. È evidente che non si possono mettere tutte sullo stesso piano. Sono espressioni di territori e storie talvolta incomparabili. La Fondazione che governa Siena, il Monte dei Paschi, ha un approccio diverso dal nostro, ma altrettamto positivo. Così come le piccole Fondazioni che mantengono stretto il cordone ombelicale con le banche che controllano. Le Fondazioni di Unicredit, del San Paolo e di Intesa, assecondano invece maggiormente lo sforzo di mercato delle banche».
La Fondazione Cariplo si è impegnata a fare un percorso inverso al vostro, aumentare la propria quota in Banca Intesa. Nel futuro anche i quattro Enti che insieme hanno meno del 15% della nuova Banca potrebbero avere la stessa tentazione?
«Non ci vedrei nulla di male, anzi auspicherei un aumento delle quote delle Fondazioni in Unicredit-Hvb. Compatibilmente ai loro obiettivi reddituali e strategici».
Nel 2005 finiscono i benefici fiscali per le Fondazioni che cedano le proprie partecipazioni in banche...
«Il legislatore dovrebbe prevedere una proroga. Le Fondazioni come il caso Unicredit prova, hanno infatti dimostrato la loro forza stabilizzatrice della nostra economia e Finanza. In un Paese in cui mancano investitori di lungo periodo come i Fondi pensione, le Fondazioni potrebbero avere anche un ruolo di difesa e stabilizzazione delle Istituzioni».
Guardi che quando si parla di Istituzioni nell’Italia della finanza si parla di Mediobanca e Rcs-Corriere della Sera. Pensa a loro?
«Nel capitale di Mediobanca piuttosto che banche che fanno lo stesso mestiere potrebbe prendere posto un sistema diffuso di Fondazioni: non una, ma una pluralità».
E per il Corriere?
«Si tratta di dinamite. Come cittadino italiano mi piacerebbe la presenza di Enti che non giochino con la politica e gli affari».
Non mi vorrà dire che le Fondazioni non giocano con la politica?
«Si vada a vedere bene gli Statuti e vedrà meccanismi di nomina talmente variegati che individuare una linea politica netta è molto complicato».
A proposito, perché ha abbandonato la politica per la banca?
«Dopo 20 anni di prima linea, in cui ho dato un certo contributo alla politica, mi sono reso conto che la mia battaglia era fatta in uno schieramento (ma il discorso non cambierebbe in quello di centro-destra) che non era più in grado di garantire la governabilità».
Ritorniamo alle banche. È vero che l’ex numero uno di Mediobanca, Vincenzo Maranghi, è l’eminenza grigia dei recenti movimenti finanziari?
«Mi onoro della sua amicizia, ho grande stima del dottor Maranghi, ma l’ipotesi di cui parla è priva di ogni fondamento».
Mediobanca oggi è vulnerabile?
«Assolutamente no, perché ha un patto di sindacato forte».
Forte come quello di Rcs?
«Molto più forte, grazie a due banche che hanno in mano il 20 per cento del capitale».
Che cosa pensa dell’ingresso delle banche straniere in Italia, con le scalate degli spagnoli del Bilbao sulla Bnl e degli olandesi di Abn Amro su Antonveneta?
«Tutti liberi di entrare nel nostro mercato, rispettando le regole, come mi sembra stia avvenendo. Nell’operazione in Germania, gli advisor di Unicredit ci hanno sempre detto che fino alla consegna delle azioni non è escluso che qualcuno si possa mettere di traverso. Il mercato è aperto per scalate e controscalate. E ritornando all’Italia il mercato prevede anche e correttamente la possibilità ad esempio che sul controllo dell’Antonveneta ci possa essere una controfferta come quella della Bipielle di Gianpiero Fiorani».
E la contro-Opa di Bipielle?
«Quando in uno scontro vedo Davide contro Golia, io tifo per Davide, per il più debole, e spero vada a finire come nella Bibbia».
Nella battaglia per il controllo di Bnl chi è Davide?
«Purtroppo in questo caso non vedo una controffensiva italiana ben strutturata. E sembra che gli spagnoli del Bilbao abbiano fatto le cose per bene. Per il momento non vedo nessun Davide».
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