Tra oggi e domani i consigli e i comitati di Unicredit e Fonsai daranno il via libera all’operazione che vedrà la banca milanese partecipare alla ricapitalizzazione della compagnia, che si concluderà con l’acquisto di una quota intorno al 7% del capitale. Nelle stesse ore Intesa lavora alacremente al progetto di intervento nel capitale di Parmalat, al fianco del gruppo Ferrero. Due operazioni che si possono definire «di sistema ». Entrambe maturano in un clima di difesa dell’italianità riscaldato dall’Opa lanciata dai francesi di Lvmh su Bulgari. E francese è sia il gruppo Lactalis, che ha rastrellato in Borsa il 15% di Parmalat puntando al controllo, sia il gruppo Groupama, che ha provato a entrare nel capitale di Fonsai, fermato dalla Consob che ha imposto il lancio di un’Opa. Una difesa del territorio, chiesta da Tremonti, che ieri ha trovato d’accordo persino l’ex premier «nemico» Romano Prodi. Di qui l’intervento delle due grandi banche del Paese, non previsto nei piani strategici delle stesse. Dunque straordinario. Allora cosa succede? Che ancora una volta, in un capitalismo senza capitali, le «operazioni di sistema», tanto demonizzate, si fanno in continuazione. E le fanno gli unici soggetti in grado di sostenerle, cioè i grandi gruppi finanziari. In particolare le banche. Quindi: da un lato c’è chi mette in croce chi dà la disponibilità ad effettuare operazioni di sistema, in quanto distorsive del mercato e contrarie agli interessi degli azionisti a favore di quelli della politica o del potere di turno. Tale critica è stata rivolta, per esempio, al presidente delle Generali Cesare Geronzi, che peraltro fin dal momento del suo insediamento a Trieste nell’aprile scorso, non ha fatto mistero di questo possibile ruolo per il Leone, forte di un portafoglio partecipazioni di 400 miliardi. Dall’altro lato, in altre stanze, ci si organizza - peraltro legittimamente e spesso in nome della stabilità del sistema e dunque del Paese, per farle senza tante storie. E senza certo coinvolgere gli azionisti di Intesa o di Unicredit per chiedere loro il parere. Nulla di scandaloso. Specie se ci sono di mezzo «aziende e settori strategici» che, come ha detto ieri il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri dopo essersi pronunciato contro alle «barriere di Stato», possono in effetti giustificare comportamenti diversi da quelli del mercato. Allora siamo forse di fronte alla dimostrazione che quanto sta accadendo all’interno delle Generali, con una forte spaccatura tra consiglieri e dunque tra soci, non è solo la divisione tra i paladini del mercato e il capitalismo di relazione. Ma tra gruppi di potere che cercano di prendere posizione in vista di prossimi sommovimenti negli equilibri della finanza nazionale. Intanto il nuovo capitolo delle polemiche nella compagnia passa per il valore dell’opzione a vendere in mano al gruppo ceco Ppf nell’alleanza siglata nel 2007 nell’Europa dell’Est. Per il vicepresidente di Generali, Vincent Bollorè, che non ha votato il bilancio in polemica con l’ad Perissinotto, quell’opzione vale 3 miliardi e non è stata trasparente. «Fidatevi solo di quel che dice Perissinotto. Le Generali sono una società seria, non badate alle stupidaggini che sentite dire in questi giorni in modo irresponsabile», gli ha replicato ieri Diego Della Valle, ospite del master di Mediaset.
Mentre Geronzi è sereno e lancia un segnale al mercato: «Data la chiarezza della situazione, non ritengo che ricorrano i presupposti per una mia dichiarazione» scrive il banchiere romano ai consiglieri indipendenti eletti nella lista di Assogestioni, che hanno chiesto un suo intervento chiarificatore. «C’è tutto nel bilancio,presto pubblico », fa sapere Geronzi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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