Fontaine: «Avrò la scarpa d’oro ma ho aspettato mezzo secolo»

Nel 1958 in Svezia realizzò 13 reti, record assoluto della coppa

Tony Damascelli

Fontaine? Chiamatelo Justo e non Just come si scrive. In Francia e in Marocco si usa così. Lui ride, la qual cosa gli riesce benissimo essendo un grande barzellettiere, oltre che il vero, unico recordman della coppa del mondo, 13 gol in un solo torneo, addì 1958 Svezia. Oggi Francia-Brasile, come allora: «Segnai un gol a Gilmar, non ne aveva ancora preso nemmeno uno. Vinsero loro ma noi eravamo in dieci, Jonquet si era rotto una gamba, allora non c’erano sostituzioni, era un altro football»
Just Fontaine, di anni settantatré, fisico rotondo, sorriso un po’ sdentato come da sempre, muso da schiaffi anche oggi che passa da Parigi alla Provenza senza fatica, nonostante una recente operazione chirurgica: «Sto bene, i medici mi hanno detto di pazientare. Io paziento da quando avevo ventisei anni e mezzo, mi ruppi una gamba e fui costretto a ritirarmi. Non c’erano i medici e le tecniche di oggi».
Fontaine, racconti quel record
«E chi lo sapeva che stavo raggiungendo un record? A quei tempi non si facevano statistiche come oggi. E in quel mondiale fui costretto a calzare le scarpe di Bruey, le mie erano rotte».
Si disse che lei giocò grazie all’infortunio di Bliard.
«Una balla messa in giro proprio da me. René si era infortunato alla vigilia del mondiale, era mio compagno di stanza, avevo bisogno di caricarlo e tirai fuori la storia che lui era il titolare e io la sua riserva. E i giornalisti abboccarono».
Abboccarono anche i portieri, tredici gol, un bel colpo.
«Se dovessi dar retta a quello che ha detto Leboeuf, opinionista, con Roland, della televisione francese in questo mondiale...».
Che cosa ha detto Leboeuf?
«Che segnare era facile, i portieri della mia epoca erano scarsi. Provi a verificare questi cognomi: Jascin, Gilmar, Svensson, Carrizo, Beara, Grosics. Poveretto».
Che cosa conserva di quel mondiale?
«Nulla, soltanto fotografie. Avevo tre maglie a disposizione, chissà dove sono finite. Poi un’azienda che produce armagnac confeziona una serie di bottiglie, ogni anno, a me dedicate, c’è la mia fotografia, quarantotto anni di belle bevute e si va avanti».
La Fifa non l’ha mai premiata?
«Mai, però sta per accadere».
In che senso?
«Alcuni anni orsono venne da me Gary Lineker che aveva vinto la classifica dei cannonieri mondiali nel 1986. Si era ritirato e faceva, come fa anche ora, l’editorialista di Bbc. La Fifa gli aveva consegnato la scarpa d’oro per quei 6 gol messicani, lui si disse stupito che avendone segnati io 13 la stessa Fifa non aveva pensato di premiarmi. Così mi regalò lui la scarpa d’oro, una replica dell’Adidas».
E adesso?
«Adesso Blatter mi consegnerà la scarpa d’oro ufficiale. Quarantotto anni dopo, non male».
Quarantotto anni dopo, come sono gli attaccanti moderni?
«Io amo il calcio inglese per l’imprevedibilità, l’ultima può battere la prima. Ma amo il campionato italiano e quello spagnolo per l’atmosfera latina, calda, io ho quel sangue».
Poteva anche venire a giocare in Italia, al tempo.
«Potevo. Giocai due amichevoli contro la Juve di Charles e Sivori, segnai anche tre gol. L’Español di Barcellona mi offrì un buon contratto ma lo ripeto, a ventisei anni mi ruppi una gamba».
Ritorno sugli attaccanti di oggi
«Mi piace Klose, è forte, è altruista, può diventare un grandissimo. Poi c’è Ronaldo che è un fenomeno un po’ largo di fianchi, dicono che faccia dolce vita ma Ronaldinho è forse un santo? Ronaldo ha sempre il senso del gol. Ha la fortuna di giocare con il Brasile, la vita è più facile per una punta con quei compagni, vorrei vederlo al centro dell’attacco di Trinidad e Tobago. Shevchenko è forte ma gioca con l’Ucraina, vale il discorso opposto a quello di Ronaldo. Mi piace Rooney, lotta, ha buona tecnica ma cattivo carattere. Henry sta pagando le scelte tattiche del suo allenatore. Toni sa difendere il pallone, Totti ha una potenza incredibile ma non è punta, Crespo è ordinario».
Tutta gente che non ce la farà a battere il suo record.


«Se incontrassero i portieri del mio tempo forse, informate Leboeuf. Vi dico una sola cosa: oggi gli attaccanti sono protetti, quarant’anni fa volavano scarpe e gambe e i portieri uscivano per abbatterti».
Justo così.

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