La maestra di Telgate non poteva immaginare che il suo terzo figlio, Ezio, un giorno si sarebbe messo a costruire i banchi per la scuola e i pallottolieri e i seggioloni e i lettini. D’accordo, il nonno già costruiva mobili e lo zio Luigi aveva le chiavi di una fabbrichetta che lavorava meccanicamente il legno ma tutto quello che è accaduto dopo, negli anni bui della guerra e del Paese, pare un miracolo, italiano.
Ezio Foppa Pedretti ha finito di giocare e di costruire ottantatre anni dopo l’inizio di questa storia e favola assieme. L’albero delle idee perde la sua foglia più grande, caduta lentamente, silenziosa mentre il mondo attorno viaggia con materie nuove, improbabili, impreviste. Il legno appartiene alla nostra infanzia, apparteneva a quest’uomo con il sorriso genuino, gli occhi vispi dietro le lenti necessarie per un’età che si poteva leggere all’anagrafe ma che tale non era.
La fabbrica di Geppetto era diventata un impero, trecento e sette dipendenti, 73,6 milioni di euro di fatturato, filiali anche in Cina, un mondo di legno con il profumo ancora d’antico, un marchio che da locale era diventato nazionale e poi europeo e infine mondiale. I giocattoli erano diventati mobili, arredi per il giardino, attrezzi per la casa, eppure Ezio Foppa Pedretti sapeva che la storia non poteva essere cancellata dalle tecnologie avanzate, Bergamo era e Bergamo doveva ancora essere, alle voci Grumello del Monte e Bolgare, la famiglia come un presepe, Enrica, Pinangela, Anna Maria, Gianluigi, i sei nipoti e l’ultima della dinastia, Matilde, il balocco più prezioso, tutti a lavorare per lo stesso obiettivo, nello stesso edificio, con lo stesso affetto e impegno professionale. Le fotografie di repertorio, padre, figli, figlie, parenti, sembrano di un album fuori del tempo. Da giovane lo chiamavano grè de pier, grano di pepe, era vivace di idee, eccitato ed eccitante di iniziative, sapeva trasformare in balocchi gli scarti del legno della fabbrichetta dello zio e del nonno.
La guerra gli portò via il posto di lavoro, la Fervet finì sotto le bombe, come Dalmine e la terra intorno, Ezio aveva in tasca il diploma dell’istituto tecnico industriale, la vita avrebbe avuto altri percorsi. Dinanzi alle macerie Ezio decise di chiedere aiuto allo zio Luigi, quando a sera gli operai dell’ultimo turno, avrebbero lasciato la fabbrica, sarebbe entrato lui, a giocare con le macchine, a inventare qualcosa. La guerra è finita, risorge l’Italia e nasce la Fabbrica di giocattoli dei fratelli Ezio e Tito Foppa Pedretti. Camioncini e trenini, locomotive, intarsiate, lavorate, il legno ha un’anima, un profumo, diventa il viaggio fantastico dei bambini. Gli anni scivolano via e la ditta si allarga, cresce, el grè de pier trasmette la sua creatività, l’avventura si fa azienda, marchio. Ma arriva la plastica, potrebbe essere la resa, la fine. Ma Ezio è Geppetto, il suo Pinocchio non è più una marionetta che gioca con i balocchi, adesso sono mobili, per l’infanzia e poi quelli per i genitori, per gli adulti, arredi per il giardino, Foppa Pedretti riempie la casa, la plastica gioca la sua partita diversa, il legno non sopravvive ma vive, reagisce, trova altri sbocchi, l’albero delle idee si gonfia, cresce, offre la sua linfa anche allo sport, nasce la sponsorizzazione al Volley Bergamo, la squadra femminile di pallavolo, 7 scudetti, 6 coppe Italia, 5 supercoppe italiane, 7 coppe dei campioni, 1 challenge cup, il marchio ne ricava immagine e pubblicità, le ragazze sono brave, le ragazze sono forti, le ragazze sono belle.
Ezio si lucida gli occhi, non più locomotive e seggioloni, la Foppa Pedretti ha finito di essere una favola, è un’industria che parla cento lingue. La stanza dell’Humanitas Gavazzeni è vuota di voci e di luce, qualcuno sta cercando un giocattolo di legno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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