Formigoni indica la via d’uscita: "Il Pdl segua l’esempio della Dc"

Il governatore della Lombardia: "Si facciano due mozioni, chi perde è minoranza. Nei grandi partiti si fa così. Fini vuol tornare a fare politica? Allora si dimetta"

Formigoni indica la via d’uscita: "Il Pdl segua l’esempio della Dc"

Milano - «Basta spararci addosso». Anche se è abituato a ben altre tempeste, Roberto Formigoni chiede di tener saldi i nervi. Di metter l’ira di Gianfranco Fini e dei finiani nero su bianco prima che la crisi degeneri. «Cosa sta succedendo nel centrodestra? Proprio nulla – assicura – se ci si comporterà come in un grande partito democratico che punta al 40 per cento e a cui gli elettori hanno appena chiesto di continuare a governare l’Italia». Una ricetta semplice semplice da servire all’irascibile presidente della Camera. Il menù è quello di giovedì, giorno in cui è stata convocata la direzione del partito per la resa dei conti. Nonostante i tentativi di retromarcia già abbozzati in questi giorni dai colonnelli finiani. A capo di un esercito che nemmeno quello ’e Franceschiello.

«Il mio invito – la missiva di Formigoni – è che giovedì si discuta, ci si confronti e poi siano presentati due documenti. Uno con la proposta di Berlusconi e l’altro con quella di Fini e dei suoi. Dove spieghino le loro critiche e quello che secondo loro nel Pdl non funziona». E poi? «Poi si vota e si vedrà chi ha la maggioranza. Nei grandi partiti funziona così». Il rischio, anzi la certezza, sono numeri bulgari per Berlusconi. «E che problema c’è? Chi perde accetterà di essere opposizione. Anzi minoranza, perché in un partito non c’è opposizione, ma minoranza».

L’ammissione di una sconfitta per Fini. «Nessuna sconfitta. Un’idea è un’idea, anche se è in minoranza. Mica perde la sua dignità. Chi la sostiene, continuerà a lavorare all’interno del Pdl e per il bene di tutti. L’importante è farla finita con i discorsi poco chiari, con le accuse, le minacce di scissione. Scrivano tutto. Chiaro. In politica bisogna avere coraggio». Anche se le divisioni fanno comunque male, se il rischio è che gli elettori non capiscano, che puniscano la rissosità interna. Quella, per dire, che ha fatto implodere il governo Prodi e condannato il centrosinistra a una lunga serie di sconfitte. Di cui ancora non si vede la fine. «Non è proprio così - frena Formigoni -. Non c’è nulla di male se all’interno di un partito che vuol rappresentare il 40 per cento degli italiani ci sono posizioni diverse. Se c’è una mozione con un’amplissima maggioranza e un’altra con pochi voti, ma altrettanta dignità. L’importante è la lealtà, la correttezza». Per essere più convincente, il governatore ripesca nella storia «della gloriosa Democrazia cristiana». Dove «Carlo Donat-Cattin prendeva il 7-8 per cento dei voti, ma aveva una posizione di grandissimo rilievo». E così era «anche per Aldo Moro o Giulio Andreotti che erano in minoranza, ma a cui nessuno impediva di fare i ministri e appoggiare lealmente gli allora presidenti del Consiglio. In quel grande partito che era la Dc, le divergenze si affrontavano così».

Più difficile nel Pdl, soprattutto perché Fini è anche presidente della Camera. Un ruolo istituzionale che lo costringerebbe a rimanere fuori dalle mischie. Come, prendendo al volo la scusa, disse il giorno della manifestazione del Pdl in piazza san Giovanni a Roma ad appena una settimana dal voto per le ultime regionali mentre i magistrati escludevano le liste del centrodestra dai tabelloni elettorali. «Fini - ricorda Formigoni - ha scelto per sé un incarico istituzionale di altissimo livello. Un ruolo che dev’essere super partes. Non gli va più bene? Gli sta stretta questa posizione defilata e per forza di cose rispettosa delle istituzioni? Vuol tornare a essere totus politicus? Che problema c’è? Rinunci al suo incarico istituzionale e torni nel dibattito. Al cento per cento». Dimissioni, dunque, da presidente della Camera quelle che chiede Formigoni a Fini se vuol continuare a guidare il suo manipolo di fedelissimi. Verso i gruppi autonomi in Parlamento? «Non ci prendiamo in giro - taglia corto Formigoni -. Come ha detto il presidente Berlusconi, formare gruppi autonomi significa scissione, uscire dal partito». A meno che Fini dal partito non sia già uscito. Con le sue posizioni iper laiche e ultra progressiste, dalla fecondazione assistita alle cellule staminali o all’eutanasia, dalla cittadinanza breve per gli extracomunitari alla possibilità per loro di votare.

«Tutte idee legittime anche se di assoluta minoranza in un centrodestra i cui elettori sono nella stragrande maggioranza schierati per la difesa della vita, per la famiglia tradizionale, per una cultura naturalmente cristiana, substrato del popolo italiano». E il troppo peso della Lega nel Pdl contro cui Fini si scaglia? «Tutte fantasie amplificate da una stampa che non ci è amica.

I nostri avversari dipingono una Lega fortissima per dimostrare la nostra crisi e delegittimare Berlusconi. Ma non è così. Il Pdl è il triplo della Lega e il partito lo abbiamo ben saldo in mano. Un politico esperto dovrebbe saper guardare bene in faccia la verità».

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