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La fotografia

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Un’Italia che non si mobilita «per il Sì alla vita» e in maggioranza si astiene perché pensa che «la vita non può essere messa ai voti». Un’Italia a due velocità, con il Nord che va alle urne più del Sud e delle isole, un’Italia con la città più «progressista» e la provincia più «tradizionalista».
I dati sono ancora parziali, la giornata odierna completerà il quadro, ma la prima lettura del voto referendario lascia intuire parecchie cose sulle trasformazioni della società italiana. Il referendum sulla procreazione è sull’accidentato sentiero del fiasco. I dati sull’affluenza ieri erano lapidari: il 4,6% alle tre del pomeriggio, il 13,3% alle sette della sera, poco più del 18% alle 22. Percentuali che rasentano il minimo storico. Alla luce dei numeri e voltandosi indietro per guardare alla campagna referendaria, emerge uno scenario per cui ciò che pensa il Paese reale coincide sempre meno con le idee degli opinion makers e delle élites intellettuali. Ieri gli italiani hanno forse riscoperto le loro radici millenarie, perché se è vero che lo Stato è laico e la società secolarizzata, è altrettanto vero che questo voto boccia il credo laicista e il totem dello scientismo sganciato dai valori morali. Nei giorni scorsi Il Riformista aveva accarezzato l’idea della Chiesa come «minoranza» ininfluente nel Paese, questo referendum certifica che quella «minoranza» si è ricompattata intorno all’ideale della vita e apre nuovi scenari sul futuro impegno dei cattolici in politica.
L’Italia a due velocità.
L’analisi del voto da Milano a Palermo, passando per Roma e facendo tappa a Cagliari, lascia pochi dubbi. Al Nord gli elettori sono stati più sensibili al richiamo dell’urna. I valori sono sostanzialmente omogenei per tutti e quattro i quesiti. Le regioni settentrionali e centrali sono state più reattive, il Meridione e le isole hanno scelto la via dell’astensione e, probabilmente, avranno un effetto decisivo sul voto. Il dato dell’affluenza alle 22 di ieri fotografava la situazione: il Nord segnava un 22,3 di votanti, il Centro il 24%, mentre nel Sud e nelle isole aveva votato rispettivamente il 10,6% e l’12,8% degli elettori. Non mancheranno le polemiche, c’è da attendersi più di un commento sulla «questione meridionale» e il referendum.
La città e la provincia.
Come non si può pensare che New York sia il paradigma dell’America, così Roma non è lo specchio del Paese. Si è sempre parlato della «provincia italiana» come il ventre della nostra società. Il voto conferma tendenze molto chiare: le metropoli si sentono più liberal, ma nei piccoli centri dove più forti sono i legami della famiglia, le comunità hanno un’identità e la Chiesa è ancora un punto di riferimento, il referendum è stato colto come una minaccia allo status quo, un colpo di piccone sui pilastri che sorreggono l’esistenza. È per queste ragioni che in una città come Milano alle 22 votava circa il 26% degli elettori e invece - restando sempre nella ricca Lombardia - a Como, Bergamo e Brescia non si arrivava al 16%. Per le stesse ragioni Roma alle 22 segnava il 25,4%, ma Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo oscillavano ancora tra il 14 e il 18%. Il non voto del Veneto (18%) o di città come Brescia (15,6%), inoltre, riscopre le radici antiche, cattoliche, delle «regioni bianche» che sembravano cancellate. Se New York non decide le elezioni del Presidente in America, Roma non fa il quorum in Italia.
Le regioni rosse.
La mobilitazione di partito si è fatta sentire nelle regioni rosse. La macchina dei Ds si è messa in moto e alle 22 in Emilia Romagna aveva votato il 31%, in Toscana il 28,9% e in Liguria il 23,2. Cifre importanti rispetto a quelle di altre regioni ma, al di fuori delle roccaforti, il blocco elettorale della sinistra si è sfaldato. Molti sostenitori della Quercia di fronte a una scelta che tocca temi profondi - l’origine stessa della vita - hanno scelto l’astensione. Una sconfitta bruciante per Fassino. Su questi temi al Botteghino avranno modo di riflettere, mentre Prodi dovrà dire addio all’asse con il Vaticano, ora il rapporto dell’opposizione con Oltretevere è nelle mani di Rutelli.
Lo strumento del referendum.
Oggi si potranno tirare le somme del voto, ma è lampante che lo strumento del referendum ha bisogno di esser cambiato profondamente. Mezzo milione di firme non sono sufficienti per dare un valore erga omnes a quesiti come quelli sulla morte e sulla vita dell’uomo. Quando la Chiesa, con il vicario di Roma cardinal Camillo Ruini, dice «abbiamo dovuto difenderci» certifica l’anomalia della minoranza che vuol imporre la sua visione del mondo alla maggioranza. Le stesse materie da sottoporre a referendum forse dovranno essere riviste. È il Parlamento che fa le leggi, il referendum non è la via ordinaria, ma straordinaria. È un’altra grave (e non richiesta) sconfitta di Marco Pannella.

Dietro i numeri della consultazione, sono in gioco non solo singole carriere di leader politici, ma la natura stessa delle alleanze di centrodestra e centrosinistra e il loro rapporto con la Santa Sede guidata da un Papa, Benedetto XVI, che dopo aver alzato l’indice contro il relativismo, da oggi potrebbe essere ancora più influente, pur facendo a meno del controllo di partiti o di antichi privilegi.

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