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Le fotografie (e le metafore) di Sottsass

Siamo alla quarta mostra in due anni che la Triennale di Milano dedica a Ettore Sottsass

Le fotografie (e le metafore) di Sottsass

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Siamo alla quarta mostra in due anni che la Triennale di Milano dedica a Ettore Sottsass. Anche basta? No, ancora. A visitare il nuovo progetto espositivo che da oggi e fino al 21 aprile occupa gli spazi di Sala Sottsass si esce con la voglia di saperne di più, ché Sottsass (1917-2007), architetto, designer, fotografo, è stato creativo debordante. Enigmatico quanto il cognome che sferza nelle orecchie, figlio del Tirolo austriaco diventato cittadino del mondo e parecchio milanese, Sottsass è qui raccontato in alcune sue metamorfosi: s'intitola infatti Ettore Sottsass.

Design Metaphors, l'esposizione di foto e disegni realizzata in collaborazione con Studio Sottsass con l'art direction di Christoph Radl e allestita attorno a Casa Lana, installazione permanente della residenza privata progettata da Sottsass per l'amico stampatore Giovanni Lana. A Casa Lana ogni ambiente è un tripudio di colore (la vera cifra di Sottsass, che firmò per Olivetti la macchina da scrivere Valentine e la volle rossa fiammante), le pareti esterne sono ricoperte per l'occasione da pannelli in cui si specchiano le fotografie in bianco e nero e i disegni in mostra. Di quel montanaro di Ettore Sottsass che studiò al Politecnico di Torino e si arruolò nella Divisione Monterosa ai tempi della Repubblica di Salò, di quel Sottsass ingentilito nei modi dalle frequentazioni altoborghesi e internazionali di Fernanda Pivano, che gli fu moglie per oltre trent'anni, qui scopriamo l'animo fragile. «Disegno sempre e soltanto per rappresentare certi pensieri dai quali sono inseguito», ha detto nel '97. La selezione in Triennale fa da prologo della mostra, scandita da tre gruppi di fotografie scattate tra il '72 e il '78 («un giro di boa», scrive Emmanuel Berard in Ettore Sottsass, raffinata biografia da oggi in libreria per Johan&Levi editore). Sottsass è già stato in America, è andato a pesca con Hemingway, ha convinto Olivetti a prenderlo nella sua squadra di creativi, ha stretto un sodalizio con Poltronova che porterà a creazioni di successo, come lo specchio Ultrafragola. Prossimo ai sessant'anni, con una nuova generazione di talenti che scalpita (Gae Aulenti, Vico Magistretti), vuole altro: viaggia in Spagna e nei deserti della Valle dell'Ebro scatta una serie di foto, in mostra in Triennale, in cui riproduce architetture effimere, surreali. I titoli ne svelano i tormenti. Più che foto, sono messe in scena: realizzate con spaghi, pezzetti di legno, cartone, immortalano geometrie sentimentali capaci di commuovere. L'ultimo scatto è il più sorprendente. Su una cima della Val Ferret mostra un «reliquario per i peli della mano destra di mio padre», unica foto esposta che ha una punta di colore.

Con ruvida poesia Sottsass omaggia le sue origini ed è pronto a prendersi il mondo con il design radicale del Gruppo Memphis che di lì a poco fonderà.

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