Da Fracchia all'eternità, la vita vera di Villaggio

In «Com'è umano lui!» su Raiuno storia e tormenti di uno dei comici decisivi del nostro Novecento

Da Fracchia all'eternità, la vita vera di Villaggio
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Un iracondo mega-direttore siede in cima ad una poltrona-totem. Ai suoi piedi striscia (letteralmente ) l'ultimo e più miserevole dei suoi impiegati. Il quale, dopo l'ennesima strigliata del gran capo, non trova di meglio che mugolare, servile: «Com'è umano lei!».

All'inizio degli anni 70 questa battuta di Paolo Villaggio (nei panni del vilipeso Fracchia, gemello del successivo, e più noto, Fantozzi) era diventato un popolarissimo tormentone. Così oggi fa da opportuno, nonché ambivalente, titolo a Com'è umano lui!: film tv diretto da Luca Manfredi che, in onda su Raiuno giovedì 30, non intende tanto raccontare il comico o la maschera; quanto (illuminandone la prima, inedita parte della vita) soprattutto l'uomo. «Villaggio era un carattere complesso lo sintetizza Enzo Paci, l'attore (già visto in Blanca e Io sono Lillo) cui è toccato l'arduo compito di rifarlo senza imitarlo -. Miscelava fragilità profonda, anticonformismo anticipatorio e insospettato coraggio. Fragilità perché, anche se nessuno lo suppone, Villaggio aveva una propria sensibilità nascosta. Anticonformista per quella genialità comico-aggressiva che ne fece un vero cantore del politicamente scorretto. Capace in tv di dare dell'imbecille ad una vecchia, in anni in cui alla Rai si predicavano soprattutto le buone maniere. E coraggioso per aver lasciato (in questo su incoraggiamento dalla moglie) un impiego sicuro per gettarsi nell'incerto mondo dello spettacolo, in anni in cui il posto fisso era un pilastro della società borghese».

Nella Genova degli anni '50, dunque, il film narra di due ventenni sfaccendati, Paolo Villaggio e Fabrizio De André, che passano le giornate con l'amico in sedia a rotelle detto «Polio», a dormire dopo bagordi notturni o a comporre canzoni come «il Fannullone». Finché il giovanotto, messa incinta la fidanzata Maura, è costretto a sposarla e a mettere la testa a partito, impiegandosi alla Cosider. Saranno proprio quei sette anni di «fancazzismo», cioè di noia, mortificazioni e goliardia passati dietro una scrivania, ad ispirare tutte le successive sventure impiegatizie su cui l'attore costruirà la propria celebrità. Arrivano infatti le prime esibizioni alla radio e in un teatrino genovese, dove Maurizio Costanzo (venuto per vedere Jannacci) scopre il rivoluzionario spirito caustico del giovanotto, e gli propone di presentare la sua macchietta di «Otto von Kranz», un maldestro prestigiatore tedesco ispirato dalla madre dell'attore.

Sarà proprio questa, a lanciarlo in tv, nel programma pomeridiano Quelli della domenica. Il resto è storia. «Tutti sanno com'era Villaggio nei panni di Fantozzi osserva il produttore Sergio Giussani -. Ma l'uomo com'era? Che ostacoli ha dovuto affrontare per arrivare dov'è arrivato?».

«I genitori, serissimi e borghesi insistevano: trovati un lavoro serio racconta la figlia Elisabetta (che col fratello Piero ha seguito da vicino la lavorazione del film) -. I futuri suoceri, invece, ammonivano la figlia: Come farà a mantenerti?». Ma sarà proprio Maura ad incoraggiarlo a mollare l'impiego. Lei era bella, aveva molti corteggiatori, e tutti ottimi partiti.

Ma ripeteva ostinata: «Paolo è l'unico al mondo con cui non mi non annoio mai». E come padre, com'era? «Sicuramente fuori dalle regole. Ma anche molto stimolante. Un vulcano di iniziative, di energie. E poi, certo, in alcuni momenti anche faticoso».

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