Roma - Senatrice Paola Binetti, sulla collocazione europea del Pd crescono i mal di pancia tra gli ex margheritini?
«Lo ha spiegato bene Rutelli: no nel Pse».
L’Asde non la soddisfa?
«È soltanto un nome, un’etichetta. È un maquillage linguistico ma non c’è un’elaborazione culturale che dice “non siamo nel Pse”».
E quindi non va bene?
«No che non va bene: i patti fondativi erano diversi».
Quali patti?
«Quando ci siamo fusi nel Pd un punto fermo dell’accordo era non andare con i socialisti in Europa».
Accordo non rispettato?
«L’impegno era più che chiaro: non nel Ppe ma neppure nel Pse. Ma il problema è a monte».
Ossia?
«Quando siamo nati ci siamo impegnati ad affrontare alcune questioni centrali».
E non è stato fatto?
«No che non è stato fatto. Siamo rimasti equivoci, confusi e divisi su troppi argomenti fondamentali».
I primi di luglio, a Roma, rutelliani in conclave. Che cosa potrà accadere?
«Nessuno ha la palla di vetro. Quello che faremo sarà chiedere chiarezza, altrimenti...».
Altrimenti?
«Altrimenti si resta nell’ambiguità e gli elettori non perdonano».
Al di là della collocazione in Europa, cosa chiederete a Franceschini?
«Risposte chiare su bioetica, famiglia, scuola. Su questi temi, ad esempio, il Pse ha posizioni da sempre molto distanti dalla mia storia personale».
Chiarezza anche a costo di strappi?
«Sì, Franceschini faccia delle scelte anche “a costo di...”».
Ma una scissione sarebbe dolorosa.
«Sono convinta che i nostri elettori perdonerebbero una cura dimagrante ma non la litigiosità interna, che non è soltanto di leadership».
E il disagio tra voi è così diffuso?
«Esprimono disagio gli ex Ds, gli ex margheritini, l’area dei “coraggiosi”».
Scoprire le carte: ci vuole un bel coraggio. Lei si candida alla guida del Pd?
«Mi candido alla chiarezza delle posizioni. È l’ora di dire basta con la pseudo unità nel partito che continua a bruciare leader uno dopo l’altro».
Come mai non sono ancora esplose le contraddizioni interne?
«I nodi stanno venendo tutti al pettine. La verità è che non basta essere antiberlusconiani per stare insieme».
L’antiberlusconismo non paga?
«Forse a brevissimo termine e spesso neanche in quel caso».
Se l’Udc vi corteggiasse dicendo «Venite con coi e facciamo qualcosa insieme»?
«Corteggiare... Che termine maschilista... Di certo non mi piacciono le annessioni».
Insomma, al grande centro ci crede?
«Diciamo che guardo molto più volentieri al centro dove sono più a mio agio quando si parla di scuola, famiglia, bioetica».
E fare qualcosa di nuovo?
«Se non si sciolgono i nodi non vedo lo scandalo di pensare a qualcosa di nuovo. D’altronde l’hanno detto pure Letta, Rutelli e lo stesso D’Alema».
Scaricare l’Idv e abbracciare Casini? In fondo è andato bene alle elezioni...
«Sì ma non ha vinto: hanno vinto la Lega e l’Italia dei valori».
E Casini no?
«Avrebbe dovuto pescare molto di più di quanto in realtà non abbia fatto».
Motivo?
«Anche Casini manca di un progetto politico nuovo e poi con la sua politica delle alleanze non è uscito dall’ambiguità».
Cioè la politica dei due forni?
«Alleanze un po’ con la destra e un po’ con la sinistra.
Premiando Di Pietro e Bossi?
«Infatti. Spesso non condivido Di Pietro ma riconosco che ha lanciato un messaggio chiaro. Mentre Bossi guida un partito davvero coeso».
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