Francesco Cafiso: «Sono una star grazie a papà e a Charlie Parker»

Non ha ancora diciott’anni il nostro jazzista più ammirato in campo internazionale

da Roma

La leggenda di Francesco Cafiso, sassofonista ormai di fama internazionale che non ha ancora diciott’anni, è tutta vera. Ed è bello sentirla raccontare da lui, nella hall di un albergo romano dove si trattiene qualche giorno per impegni concertistici nell’Italia centrale. Con Francesco c’è il padre Angelo che lo accompagna quando gli è possibile: la minore età crea problemi anche a chi è celebre. A guardarlo da vicino, Francesco sembra perfino più giovane, esile com’è e di statura media, con un volto dolce da adolescente facile al sorriso. Ma le parole e le opinioni sono quelle di un adulto, ed è logico, data la singolare esperienza che ha alle spalle.
Quanti sono i dischi a tuo nome, Francesco?
«Otto. Sono tanti, lo so, e qualche volta non ricordo bene il numero. Quello che preferisco è Happy Time non perché è l’ultimo, ma perché mi sembra il più maturo. Sono otto composizioni mie suonate in quartetto con Riccardo Arrighini pianoforte, Aldo Zunino contrabbasso e Stefano Bagnoli batteria. Mi trovo bene con loro. Ciascuno resta libero di lavorare con chi vuole e io non ho obblighi di esclusiva».
Parliamo della tua infanzia. Come si scopre un talento congenito che ha del prodigioso?
«Sono nato a Vittoria, nel sud della Sicilia, in provincia di Ragusa, il 24 maggio 1989, dove tuttora vivo e frequento la quarta liceo linguistico. Non si tratta dell’estrema periferia dell’impero come si può credere. È un grosso centro di più di cinquantamila abitanti con attività produttive importanti, e ci sono giovani musicisti molto validi che stentano ad emergere».
Quando ti sei accorto delle tue attitudini?
«Il merito è di mio padre che la musica la capisce e la pratica. Avevo sei anni quando mi spiegò il solfeggio, poi mi affidò alle cure di Carlo Cattano, maestro di musica a Lentini ed esperto di jazz. Con lui ho studiato molto e ho ascoltato Miles Davis, Lee Konitz e naturalmente Charlie Parker. Ho scelto il sax alto perché sono stato affascinato dal suo genio e perché mi piaceva il suono dello strumento».
E poi?
«A nove anni ho fatto parte dell’Orchestra Jazz del Mediterraneo e ho collaborato con qualche jazzista americano di passaggio. Due anni dopo ho partecipato al premio alla memoria di Massimo Urbani che suonava il mio stesso strumento e l’ho vinto. Tutto è cominciato da lì, compreso il primo disco realizzato dalla Philology di Paolo Piangiarelli. Ma il vero decollo è accaduto nell’estate del 2002».
Al Festival di Pescara, cioè la sera magica in cui Francesco e Franco D’Andrea si sono esibiti prima della formazione di Wynton Marsalis. Come l’hai vissuta?
«Come una fiaba che Wynton, grande musicista e grande insegnante (è considerato uno dei 20 uomini più importanti degli Usa, ndr) conosceva bene perché c’era passato anche lui. Nel 1979, a 18 anni, quando aveva già suonato in pubblico il Concerto per tromba di Haydn con la New Orleans Philharmonic Orchestra, Art Blakey lo ha voluto nei Jazz Messengers e ha fatto la sua fortuna. La storia si è ripetuta. Wynton mi ha portato a New York e nel 2003 mi ha fatto partecipare al tour europeo della Lincoln Center Jazz Orchestra. Ciò ha favorito la mia partecipazione ad altri premi».
Quali?
«La Convention annuale degli Educatori di Jazz a New York, dove ho ricevuto l’International Jazz Festival Organisation Award, e a Londra la World Saxophone Competition che ho vinto».
Quali sono le tue preferenze musicali, non soltanto nel jazz?
«Oltre a Marsalis, amo alcuni dei musicisti con i quali ho suonato: Roy Hargrove, Mulgrew Miller, Enrico Rava, Franco D’Andrea, Giovanni Tommaso, Enrico Pieranunzi. Il compianto Massimo Urbani per me rimane un mito. Ascolto spesso Eric Dolphy come sassofonista e come flautista. A proposito, mi sono diplomato in flauto, penso che mi sarà molto utile, e studio il pianoforte secondario per la composizione. Fra i classici prediligo Bach e Chopin, ma apprezzo anche i melodrammi e la musica sinfonica. Voglio aggiungere che sono grato a Carlo Pagnotta, direttore artistico di Umbria Jazz, per le tante volte che mi ha invitato al festival e per il cd in cui suono la musica di Charlie Parker con gli archi che considero uno dei miei migliori».


Questo è Francesco Cafiso 2007, che a meno di diciott’anni costituisce un punto di forza del jazz italiano in campo internazionale. Alcuni temono per lui il successo arrivato troppo presto, altri dicono che suona troppo. Ma se si ascolta il suo attacco bruciante in Louisiana, il primo dei brani di Happy Time, si spiega tutto.

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